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Wimbledon Djokovic-Alcaraz, la finale che tutti volevano: l'ultimo dei Big 4 e il Re della Next Gen

Due mondi a confronto, come le generazioni: quella imperiale, con aurea regale, che ha nel serbo una sorta di ultimo baluardo. E quella “garibaldina” dello spagnolo, i cui margini sono ancora enormi

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Perchè la finale di Wimbledon 2023 tra Novak Djokovic e Carlos Alcaraz è quella che tutti volevano? Ci sono miriadi di perché. Due mondi a confronto, come le generazioni: quella imperiale, con aurea regale, che ha in Novak Djokovic una sorta di ultimo baluardo (aspettando un ultimo giro di giostra di Rafael Nadal).

E quella “garibaldina” che poggia le fondamenta sulla straordinaria qualità e capacità di adattamento a qualsiasi contesto mostrata da Carlos Alcaraz, che a 20 anni si candida a essere davvero il fenomeno del futuro, ma con diritto di cittadinanza anche nel presente.

Il meglio che il tennis potesse sperare

Inutile girarci troppo intorno: sebbene l’Italia del tennis abbia sperato in un meraviglioso derby tra Berrettini (battuto da Alcaraz negli ottavi) e Sinner (superato da Djokovic, ma al termine di una gara ben più equilibrata di quanto non abbia raccontato il punteggio), una finale tra Djokovic e Alcaraz è forse quanto di meglio il mondo del tennis avrebbe potuto augurarsi.

Perché si affrontano non soltanto i primi due tennisti al mondo (ranking alla mano), ma anche coloro che meglio di chiunque altro rendono testimonianza di quel confronto generazionale in atto ormai da un paio d’anni abbondanti. L’ultimo avamposto dei Big 4 contro il leader conclamato della Next Gen: meglio di così, si muore.

Nole e Carlos: numeri a confronto

Prima di tutto, i precedenti: Djokovic ha vinto quello più recente, disputato un mese fa nella semifinale del Roland Garros. Alcaraz aveva vinto il primo nel maggio del 2022, a Madrid, uno dei tornei che lo rivelarono al mondo.

Entrambi sul rosso, quindi tutta un’altra storia. A Wimbledon hanno avuto un percorso netto e per certi versi anche abbastanza simile: entrambi hanno lasciato per strada due set a testa, vincendone 18 e mostrando una superiorità conclamata soprattutto nei momenti chiave di ogni singolo incontro.

Sono fenomeni, e non per caso: Djoko all’All England Club non perde da 34 partite consecutive (ultimo a batterlo fu Querrey nel 2017…), Alcaraz sull’erba è praticamente agli albori della propria carriera, avendo disputato la “miseria” di 17 incontri (la metà della striscia di Nole) ma vincendone 15, con le uniche due sconfitte arrivate con Medvedev al secondo turno di Wimbledon 2021 e lo scorso anno con Sinner agli ottavi di finale.

Quest’anno ha vinto al Queen’s, mostrando una padronanza dei propri mezzi davvero notevole. E ha rispedito a casa senza troppi complimenti proprio quel Medvedev che sull’erba londinese era sembrato rinascere dopo un periodo fatto di pochi alti e tanti bassi.

La pressione di Djoko, il cuore leggero del Mostro

Giocherà con la testa leggera, il Mostro spagnolo, al contrario di un Djokovic che sa di essere nuovamente a un passo dalla leggenda: la 35esima finale slam raggiunta in carriera (per ora il bilancio dice 23 vittorie e 11 sconfitte: nessuno come lui nei secoli di storia) è il grimaldello per tenere aperto il sogno di centrare il Grande Slam stagionale (vincere tutti i 4 tornei maggiori). Ma questa, se possibile, è la sfida più complicata di tutte: logico che debba essere Alcaraz (e chi se non lui?) l’unico in grado di fermarlo.

Quanti e quali margini abbiamo?

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ha sentenziato Medvedev. Vincendo, Alcaraz non farebbe altro che anticipare i tempi di quella che pare comunque una prospettiva ormai inevitabile: il mondo dello sport lo ha accolto alla stregua del fenomeno che è, come dimostrato anche dall’attenzione a lui rivolta da personaggi di altre discipline, vedi il cestista Jimmy Butler che s’è concesso una gita a Londra proprio per assistere dal vivo alle gare del murciano (condividono la stessa agenzia).

Quello che stupisce di più è la sensazione di trovarsi a che fare con un giocatore che ha ancora margini di crescita importanti: il servizio è il fondamentale che richiederà maggiore impegno nei mesi a venire, ma nonostante ciò a Wimbledon ha saputo portarsi avanti sfruttando meraviglia altre qualità tecniche.

Sintomo che la prospettiva migliore per i rivali di oggi (e di domani) non potrà che essere quella di gareggiare per provare a restargli dietro. Ecco allora che la finale con Djokovic assume davvero i connotati di un passaggio unico e irripetibile: il “vecchio” contro il nuovo, il passato contro il futuro, per nostra fortuna ben ancorati nel presente. Comunque vada, l’elogio della bellezza applicata allo sport.

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