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Davide Ancelotti spiega perché il padre Carlo è il migliore di tutti e vuota il sacco sulle critiche

Il 33enne vice-allenatore del Real Madrid ha svelato ad As alcuni segreti del successo del padre, con cui collabora nel mondo del calcio da ormai 11 stagioni    

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Fabrizio Napoli

Fabrizio Napoli

Giornalista

Giornalista professionista, per Virgilio Sport segue anche il calcio ma è con la pallanuoto che esalta competenze e passioni. Cura la comunicazione di HaBaWaBa, il più grande festival di waterpolo per bambini al mondo

Carlo Ancelotti cita tra i segreti del suo successo il rapporto con il suo staff e in particolare con il figlio Davide, suo assistente ormai da 11 stagioni nonostante abbia appena 33 anni. Il giovane viceallenatore del Real Madrid è stato intervistato al quotidiano spagnolo As, a cui ha spiegato perché Carlo Ancelotti è tra i migliori allenatori al mondo. Davide Ancelotti ha anche risposto a coloro che lo accusano di essere un raccomandato nel grande calcio.

Davide Ancelotti e il segreto del padre Carlo

Secondo Davide Ancelotti il vero segreto del padre Carlo è nel suo carattere. La capacità di Ancelotti di mantenere la calma e infonderla in chi gli sta attorno, giocatori, collaboratori e dirigenti, rende il tecnico “un grande leader”. “È una persona dal carattere calmo, capace di controllare le proprie emozioni – spiega Davide Ancelotti ad As -. Questo lo rende un grande leader. Non si arrabbia mai ed è capace di dare responsabilità agli altri, il che non è facile”.

Davide Ancelotti ha iniziato a lavorare come collaboratore del padre nel PSG, nel 2012, quando si occupava del settore giovanile. Da allora, anno dopo anno, è diventato un consigliere sempre più autorevole per il padre. Per lui il modo di allenare di Carlo Ancelotti si basa proprio sull’ascolto di chi ha attorno, collaboratori e giocatori. ”Ascolta tutto e decide sempre da sé – aggiunge Davide Ancelotti – Ma lascia parlare tutta la tua squadra. Questo genera molto dibattito interno, e un clima di confronto di idee che gli permette di rimanere giovane nella mente e nel pensiero. Non vuole uno staff tecnico di persone che dicono solo di sì. E questo, da figlio, mi aiuta, perché non c’è barriera di paura che possa avere l’allenatore. C’è una sfida costante tra lui e me, e questo mi piace. A volte litighiamo, ma penso che sia un bene”.

Il giocatore al centro del calcio di Ancelotti

Tra i punti di forza di Carlo Ancelotti, quello di ritenere il calciatore il centro di qualunque progetto tecnico. “Mi ha insegnato che questo è uno sport per calciatori, e che se vuoi essere un buon allenatore devi adattarti a quello che hai – racconta il figlio -. Bisogna costruire un gioco in cui ciascuno dei tuoi uomini possa brillare. Quando lo ottieni, puoi sentirti felice. Se vedi i tuoi calciatori a proprio agio, hai fatto centro. Se non li vedi a loro agio nel sistema, non stai facendo un buon lavoro. Quel concetto che mi ha trasmesso mio padre è molto importante, ma non è facile essere così flessibili e camaleontici come lo è stato nella sua carriera”.

Essere flessibili, però, non significa non difendere le proprie idee. “Mio padre ha una profonda umiltà, ma ha inventato un modulo, il 4-3-2-1. Non è solo un allenatore, è una persona che ha contribuito molto a questo sport a livello tattico”.

Davide Ancelotti e l’accusa di raccomandato

Nella sua intervista, Davide Ancelotti risponde anche alle critiche che gli sono piovute addosso nel corso degli anni, in particolare a quella di essere stato aiutato a entrare nel mondo del calcio dall’importanza delle figura del padre. “Il fatto di lavorare con mio padre genera molte aspettative, e questo mi dà molta motivazione, voglia di farcela – dice Ancelotti jr in un passaggio dell’intervista -. Non posso dire di avere la stessa fame di chi viene dal basso, perché ho la fortuna di venire da una famiglia in cui non mi è mancato nulla. Potrebbero dire: ‘questo sta bene, non ha fame’. Ebbene, la fame di trionfo la ritrovo in altre cose, nella necessità di dover dimostrare, nel soddisfare le aspettative, nei sospetti generati dall’essere figlio dell’allenatore… Tutto questo per me diventa motivazione”.

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