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Dentro la crisi della Juventus: numeri, colpe, modi per uscirne

La Juventus sta vivendo in questo momento un'involuzione tecnica e caratteriale preoccupante. Questo declino, però, parte da molto lontano.

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La scena di Max Allegri che si toglie imbestialito la giacca nel corso della sfida con l‘Hellas Verona ha ricordato a molti quanto avvenuto nel 2015 contro il Carpi. Anche in quella stagione, la 2015/2016, i bianconeri avevano iniziato il campionato in modo disastroso, salvo poi rimontare in maniera leggendaria grazie all’invenzione tattica di Allegri, che schierò Dybala mezza punta in un 4-2-3-1 che sprizzava qualità. In quella squadra, infatti, si contava gente come Pogba, Pjanic, Marchisio, oltre ai migliori Bonucci, Barzagli e Chiellini. Oggi la situazione è molto differente, la qualità latita, il progetto tecnico non è chiaro, e anche ai piani alti sembra ci capiscano sempre meno.

Juventus, i problemi partono dall’alto

Già, dall’alto, dalla dirigenza, e ormai è molto tempo che le cose stanno diventando confuse. Precisamente, dall’addio di Beppe Marotta, il vero uomo in più della Juve per un decennio, colui che teneva le fila di tutto. Non a caso da quando si è trasferito ai rivali dell‘Inter, i nerazzurri sono tornati a vincere e a essere una squadra vera. L’allievo di Marotta, ovvero Fabio Paratici, non è stato in grado di replicare gli show del mentore: basta confrontare, per esempio, i parametri zero dei due dirigenti, ma ne parleremo dopo. 

In estate, la questione Superlega non ha di certo aiutato a dare stabilità all’ambiente. Mettersi tutta la UEFA contro non sembra essere stata la mossa più lungimirante di tutte, ma non è solo questo. Più in generale, se in passato la vera forza della Vecchia Signora è sempre stata la società, in grado di dominare su tutto e tutti, ora la sensazione che trasmette è solo confusione. Nedved e il Presidente Andrea Agnelli sono sotto accusa, e questo ci porta al punto successivo, ovvero il mercato degli ultimi anni.

Juventus, da Cristiano Ronaldo a Ramsey e Rabiot: quanti flop sul mercato

No, non stiamo dicendo che Cristiano Ronaldo sia stato un flop in bianconero. Più di 100 gol in appena tre stagioni sono numeri da marziano, ma il discorso è più generale e sottende una vera mancanza di progettualità a lungo termine. Se l’arrivo di CR7 è stato voluto e perfezionato da Agnelli in persona (un salasso economico del quale si pagheranno le conseguenze per molti anni), ci sono stati molti anni di successi in cui l’età media della squadra si è gradualmente alzata. Anche oggi, con 30 anni e 28 giorni, quello odierno é l’undici titolare più vecchio schierato dalla Juventus in questo campionato. 

Solo da un paio di stagioni, e con grande fatica, i bianconeri stanno intraprendendo una massiccia opera di sfoltimento e rinnovamento della rosa che, come prevedibile, sul campo si sta facendo sentire. Giovani forti come de Ligt, Chiesa, Kulusevski, giocatori che avranno sulle spalle un centinaio di partite si e no, non possono avere l’esperienza per gestire un campionato al top come gente con 500-600 partite in carriera. 

Poi l’ovvia questione dei parametri zero, una delle armi segrete di cui disponeva Marotta. Pogba, Khedira, Dani Alves con Marotta, Rabiot e Ramsey per Paratici. Beh, basterebbe questo per capire il calo di prestazioni della squadra. Come dice Allegri, infatti, nel calcio non si inventa nulla: se hai i giocatori vinci, altrimenti è dura. 

L’ultimo punto riguardante il mercato è quello degli allenatori. Tre anni con Conte (tre scudetti), cinque anni di Allegri-1 (cinque scudetti), un anno di Sarri (scudetto, ma già le crepe si vedevano), un anno di Pirlo (4° posto), mezzo anno di Allegri-2 (ottavo posto). Negli ultimi anni la Juventus ha iniziato a cambiare allenatori come facevano Inter e Milan in passato. Questo è un problema generale del calcio italiano, che non concede spazio agli errori e rende impossibili quelle favole stile Liverpool di Klopp (ma anche Wenger e Ferguson) che spesso sono la base per vittorie sostanziali.

Juventus e la tattica: manca un goleador, il centrocampo è inesistente. Ecco i numeri

Ed ecco le questioni più terra-terra. La cosa più lampante sono le impietose statistiche di quest’anno della Juve. In campionato ha già perso quattro partite (Empoli, Napoli, Sassuolo e Hellas), con una differenza reti di 0. 15 gol fatti e 15 subiti. Troppo pochi i primi, decisamente troppi i secondi. Erano gli anni ’60 quando i bianconeri avevano statistiche simili, e finirono il campionato dodicesimi. Il problema dei gol è facilmente comprensibile: non c’è più un marziano di nome Ronaldo. Capocannoniere dell’ultima Serie A, 100 gol e passa in tre anni sotto la Mole, il fatto di aver abbandonato la barca a 3 giorni dalla chiusura del mercato ha lasciato la Juve con un cerino in mano. È arrivato Kean, Morata è stato preso per un altro anno, ma l’area di rigore è sempre vuota. Non c’è nessuno che la butta dentro, e questo è un limite enorme. 

Capitolo centrocampo. Beh, qui c’è in realtà poco da dire. Tralasciando Manuel Locatelli (ingiudicabile, dato che è arrivato da pochi mesi) rimangono Arthur (sempre infortunato), Bentancur, Ramsey (anche lui sempre fuori) e Rabiot. Un bel downgrade rispetto al centrocampo più forte del mondo Pogba-Vidal-Marchisio-Pirlo di qualche anno fa. Manca un regista, mancano delle vere mezze ali e molto altro. Allegri ci sta provando con McKennie, e i due gol nelle ultime due partite sono un segnale incoraggiante. Gli altri, invece, sono a dirla tutta poca cosa, forse non da Juve. 

Se alcuni punti sono stati persi da Szczesny, anche la difesa ora subisce molti più gol, ma questo non può essere solo un problema di reparto quanto di gioco. I singoli in se rimangono di prima qualità. Anche se l’età di Bonucci e Chiellini avanza rimangono solidissimi (si sono appena laureati Campioni d’Europa), de Ligt era il miglior prospetto difensivo del mondo quando è stato acquistato dall‘Ajax. 

I problemi della Juve sono alla base, dalle fondamenta di un progetto tecnico che inaugurato due anni fa con Sarri non sta decollando. Urgono rimedi alla svelta, e inoltre, come ricorda oggi Paulo Dybala, serve rispetto, onorare la maglia e pedalare.

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