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Doping, Pogba: la Procura chiede quattro anni di squalifica, niente patteggiamento. La strategia di Paul

Pogba dice no al patteggiamento e la Procura nazionale antidoping chiede il massimo della pena: quattro anni di squalifica per il francese, positivo al termine di Udinese-Juventus.

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Rino Dazzo

Rino Dazzo

Giornalista

Se mai ci fosse modo di traslare il glossario del calcio in una nicchia di esperti, lui ne farebbe parte. Non si perde una svista arbitrale né gli umori social del mondo delle curve

Niente patteggiamento, Paul Pogba andrà a processo dopo essere risultato positivo a un controllo antidoping eseguito dopo Udinese-Juventus dello scorso 20 agosto, prima giornata del campionato 2023-24. Per il centrocampista francese, stella della Vecchia Signora, la Procura nazionale antidoping ha chiesto il massimo della pena: quattro anni di squalifica. Il rischio concreto, insomma, è che la carriera da calciatore professionista di Pogba sia ormai chiusa.

Pogba positivo: no al patteggiamento

Nelle scorse settimane si era vociferato a lungo a proposito di una possibile richiesta di patteggiamento da parte di Pogba e dei suoi legali alla Procura nazionale antidoping. Ammettendo le sue responsabilità, il francese avrebbe ipso facto visto dimezzare la richiesta di squalifica da parte dei funzionari. Pogba, però, a quanto pare ha rifiutato questa possibilità. Ha preferito andare avanti, convinto della sua buona fede e della possibilità – per la verità piuttosto remota – che siano riconosciute le sue ragioni in Tribunale.

Doping Pogba: le tappe della vicenda

L’odissea di Pogba, che sembrava finalmente sul punto di ritrovare la condizione migliore dopo un’annata vissuta quasi interamente lontano dal campo a causa di problemi fisici, è cominciata dopo che un controllo effettuato presso il laboratorio antidoping di Roma ha riscontrato la sua positività al Dhea, il cosiddetto “Ormone della giovinezza”, una sostanza proibita. Le successive controanalisi, i cui risultati si sono avuti il 6 ottobre, hanno confermato l’esito dei primi test: Pogba positivo. La colpa? Di un integratore consigliato da un medico amico, esterno alla società bianconera. Almeno, questo è quanto raccontato dal centrocampista.

La strategia di Paul: sostanza non vietata ovunque

Uno dei punti cardine della strategia difensiva di Pogba e dei suoi legali risiede proprio nel fatto che il calciatore non avrebbe assunto il Dhea consapevolmente e, soprattutto, sul fatto che l’ormone è vietato in Italia soltanto dal 2021. In altri Paesi, invece, non è vietato e può essere assunto liberamente. Inoltre, il Dhea potrebbe essere un contaminatore di altri prodotti riconosciuti dal protocollo sportivo. Appigli, speranze, che in questo momento tengono accesa la flebile fiammella della speranza prima del processo davanti al Tribunale nazionale antidoping.

Caso Pogba: il processo e le mosse della Juve

Dovesse essere accolta la richiesta della Procura, Pogba – che è già stato sospeso in via cautelare subito dopo che è emerà la sua positività alle prime analisi – sarà costretto a fermarsi per quattro anni. E la Juve osserva da lontano. Il calciatore ormai non rientra più nei piani della società, al momento della sospensione il suo stipendio è stato abbassato al minimo salariale di 42mila e 477 euro l’anno e – paradossalmente – alla Juve non conviene rescindere il contratto, altrimenti dovrebbe pagare le penali previste dal Decreto Crescita.

Per ora il club bianconero sta risparmiando sugli otto milioni netti d’ingaggio, più due di bonus, garantiti a Pogba al momento del suo clamoroso ritorno in bianconero, nell’estate 2022. Un contratto ormai fuori dalle logiche di sostenibilità finanziaria del “nuovo corso” della Juventus. Un contratto garantito a Pogba da Andrea Agnelli, l’ex presidente, di fatto oggi completamente esautorato dal cugino John Elkann.

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