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Il diritto di recompra: da Morata a Brahim, passando per Pinamonti

Grazie alla trattativa che ha riportato Brahim Diaz al Milan, è tornata in auge una parola che da qualche anno si è aggiunta al vocabolario del calciomercato italiano: la “recompra”

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Marco Pino

Marco Pino

Sport Economy Specialist

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Il calciomercato ha ormai rubato la scena della discussione calcistica estiva. Abbiamo già parlato di plusvalenze, ammortamenti e costi agenti, con riguardo anche alle relative conseguenze a livello di impatto economico e finanziario sui bilanci delle società.

Grazie alla trattativa che ha riportato Brahim Diaz al Milan, è tornata in auge una parola che da qualche anno si è aggiunta al vocabolario del calciomercato italiano: la “recompra”, ripresa dalla norma spagnola e utilizzata nel linguaggio comune del giornalismo nostrano.

La cessione di un giovane, con inserimento della cosiddetta clausola di recompra (o riacquisto nella traduzione italiana), permette comunque alla società di mantenere il controllo sul cartellino di un potenziale talento.

La vera e sostanziale differenza, rispetto al classico prestito con diritto di riscatto, sta nel diverso impatto economico. Se infatti la società cede un giocatore in prestito con diritto di riscatto non contabilizza immediatamente il valore del riscatto in quanto la condizione di esercizio del diritto non si è ancora realizzata, e quindi la cessione non viene ritenuta certa.

Con la cessione a titolo definitivo, invece, diventa immediata la possibilità di realizzare e registrare una plusvalenza. Rispetto all’opzione di mantenere il controllo sul cartellino del giocatore, bisogna analizzare l’evoluzione normativa del regolamento.

Da Morata a Brahim Diaz

Il caso più eclatante, di cui si sono discusse e riportate analogie rispetto all’operazione Brahim Diaz, riguarda l’operazione Alvaro Morata durante il suo primo passaggio alla Juventus nel luglio 2014.

I bianconeri acquisirono i diritti alle prestazioni sportive dello spagnolo a fronte di un corrispettivo di 20 milioni di euro. Contestualmente veniva data la possibilità al Real Madrid di esercitare un “diritto di opzione” (recompra) per 30 milioni di euro al termine delle stagioni sportive 15/16 e 16/17. Il trasferimento dello spagnolo dalle merengues alla Juventus permise alla recompra di entrare definitivamente nel gergo del calcio italiano ed essere maggiormente utilizzata anche nelle trattative di calciomercato domestico.

L’operazione che ha riportato al Milan Brahim Diaz si è conclusa in prestito biennale oneroso (3 milioni di euro, 1.5 a stagione) con diritto di riscatto a favore dei rossoneri fissato a 22 milioni di euro e controriscatto a favore del Real Madrid già stabilito alla cifra di 27 milioni di euro. Il classico diritto di recompra che permetterà ai blancos di incassare l’eventuale riscatto da parte dei rossoneri, mantenendo la possibilità di riacquisto a fronte di una cifra maggiorata di 5 milioni.

Plusvalenze non regolamentate

Il calciomercato italiano, dal 2014 (anno dell’operazione Morata) al 2019 (anno in cui si è regolamentata definitivamente la fattispecie), ha visto protagonista la recompra di diversi trasferimenti. I benefici, infatti, possono essere individuati su due principali fronti: da un lato aiutare i club a non perdere il controllo di giovani talenti ed eventualmente riaverli in squadra una volta maturi, dall’altro avere la possibilità di realizzare corpose plusvalenze utili a mettere a posto i bilanci delle squadre nel breve periodo.

Il caso della Juventus, per esempio con l’operazione Mandragora-Udinese, si inserisce perfettamente all’interno di questa fattispecie, oltre ad essere uno dei casi scuola che hanno portato la FIGC a modificare la normativa come vedremo di seguito.

Il centrocampista ora al Torino, era stato acquistato dalla Vecchia Signora nel 2016 dal Genoa. Nel 2018 viene ceduto all’Udinese per 20 milioni (cifra record per le casse del club friulano) inserendo nel contratto la facoltà da parte della Juventus di esercitare un diritto di riacquisto nelle stagioni successive, come spiegato anche dal comunicato dei bianconeri.

Tale operazione genera un effetto economico positivo di circa € 14,7 milioni. Il contratto prevede, inoltre, la facoltà per Juventus di esercitare, al termine della stagione sportiva 2019/2020, il diritto di opzione per riacquisire a titolo definitivo il diritto alle prestazioni sportive del medesimo calciatore a fronte di un corrispettivo di € 26 milioni, pagabili in due esercizi”.

Il vantaggio immediato, analizzando l’operazione, viene individuato nella plusvalenza realizzata e contabilizzata per 14,7 milioni di euro, con l’aggiunta di poter mantenere il controllo del giocatore riacquistandolo eventualmente nelle stagioni successive. Condizione che effettivamente si è realizzata nella scorsa stagione, con un accordo tra le parti che ha abbassato la cifra inizialmente concordata per il riacquisto. Il caso proposto, relativo alla cessione di Mandragora da parte della Juventus, è solo un esempio tra i tanti che hanno caratterizzato il calciomercato italiano negli ultimi anni. Altri esempi possono riguardare il trasferimento di Ionut Radu che ha coinvolto Inter e Genoa, ma anche la Roma e gli stessi nerazzurri con tanti giovani protagonisti di operazioni che prevedevano la recompra. Operazioni che però, troppo spesso, venivano concluse con il solo fine di realizzare una plusvalenza immediata e rimandare agli esercizi successivi le scelte relative al puntare o meno sul calciatore.

Le modifiche della FIGC e il caso Pinamonti

Come anticipato, nel 2019 la FIGC ha apportato una modifica normativa con la finalità di calmierare l’utilizzo del diritto di recompra regolamentandone gli effetti contabili. Con il comunicato del 17 aprile 2019 si è deciso di apportare una modifica all’art. 102, comma 4, delle N.O.I.F. (Norme Organizzative Interne Federali) della FIGC.

Per prima cosa si definisce che il diritto di riacquisto “può essere esercitato o rinunciato solo ed esclusivamente nel primo giorno del periodo di trasferimenti estivo della seconda stagione sportiva successiva a quella nel corso della quale è avvenuta la cessione definitiva”.

Quindi l’eventuale diritto di recompra può essere inserito in fase di sottoscrizione dell’accordo ma esercitato solo dalla seconda stagione successiva alla data di cessione.

La principale modifica riguarda però il passaggio riportato di seguito:

Gli effetti contabili delle eventuali plusvalenze/minusvalenze derivanti da quanto precede decorrono dal momento dell’esercizio o della rinuncia del diritto di opzione”.

In termini pratici, questo significa che se la società X cede un giocatore alla società Y per 10 milioni, inserendo la facoltà di riacquistare il giocatore nei termini consentiti durante le stagioni successive, la società X non potrà immediatamente registrare contabilmente la plusvalenza ma dovrà attendere il venir meno della condizione relativa al diritto di opzione. Con questa modifica della norma si è quindi scelto di moderare l’utilizzo del diritto di recompra, troppo spesso utilizzato al solo fine di realizzare ingenti plusvalenze rimandando poi gli effetti di un potenziale riacquisto agli esercizi successivi. Viene meno la possibilità di registrare la plusvalenza e quindi il beneficio immediato sotto il profilo economico.

Nonostante l’introduzione della modifica normativa però, negli ultimi anni, abbiamo assistito a trasferimenti che hanno cercato di aggirarla. Si prenda ad esempio il caso Pinamonti e l’operazione che lo ha portato dall’Inter al Genoa nell’estate 2019. I nerazzurri grazie alla cessione realizzarono nell’esercizio 2018/2019 una plusvalenza pari a 19 milioni di euro, senza inserire nessun diritto di recompra ma un semplice “gentlement agreement” tra le parti non contrattualizzato che avrebbe dato all’Inter la possibilità di riacquisire il calciatore nelle stagioni successive. Cosa che effettivamente avvenne l’anno seguente con l’attaccante che fece il percorso inverso (dal Genoa all’Inter) nel settembre 2020. Il più classico dei “fatta la legge, trovato l’inganno”.

Articolo a cura di Marco Pino

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