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La rivoluzione di Naomi Osaka, che per prima ha posto al centro la salute mentale e detto no al sistema

Ex numero 1 del ranking WTA, nessuna ha fatto, detto e scritto quello che è riuscita a mettere in cima all'agenda mediatica questa campionessa di tennis

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Elisabetta D'Onofrio

Elisabetta D'Onofrio

Giornalista e content creator

Giornalista professionista dal 2007, scrive per curiosità personale e necessità: soprattutto di calcio, di sport e dei suoi protagonisti, concedendosi innocenti evasioni nell'ambito della creazione di format. Un tempo ala destra, oggi si sente a suo agio nel ruolo di libero. Cura una classifica riservata dei migliori 5 calciatori di sempre.

La rivoluzione silenziosa di Naomi Osaka non andrebbe collocata in una categoria temporale, in una certa e circoscritta fase della sua carriera tennistica – interrotta e in via di ripresa – di incerta definizione. Non esistono sintesi adeguate per lei che, attraverso una misurata e volontaria sottrazione, ha maturato scelte di rottura, decisamente in antitesi con la tendenza dominante anche in un contesto quale quello pro, avvolto e filtrato da calendari, media e rituali codificati.

Naomi non è stata e forse non sarà, di nuovo, un personaggio pubblico attraente in una narrazione tipica per i mezzi di informazione: ha deciso di rientrare da ex numero uno ranking nel WTA 500 di Brisbane a fine dicembre, come hanno annunciato venerdì gli organizzatori del torneo che vanta una certa notorietà proprio perché preparatorio al più celebre Australian Open.

Il ritorno di Naomi Osaka

“Mi piace sempre inaugurare la mia stagione a Brisbane e non vedo l’ora di tornare”, ha dichiarato Osaka in un comunicato. “Il Brisbane International è un torneo davvero fantastico e mi preparerà per un grande ritorno quest’estate”. La sua è una affermazione ambiziosa, ma realistica che viene ribattuta dai media con l’inevitabile risonanza che si deve a una campionessa ex numero 1 che, in una manciata di stagioni, ha collezionato quattro titoli del Grande Slam, due vinti in Australia (2019, 2021) e altri due agli US Open (2018, 2020).

Naomi Osaka ha incarnato, come e più di Serena Williams, il senso del cambiamento più profondo che nello sport agonistico e professionale si abbina a una crescente emancipazione dall’immagine pubblica costruita attorno allo stereotipo della campionessa. I fatti lo suggeriscono: nessuna come lei ha centrato l’agenda dei mezzi di informazione negandosi, in ragione del proprio diritto alla tutela della propria salute mentale, al diritto alla maternità, al ribadire la centralità del singolo rispetto alle ragioni del sistema costruito attorno alla figura, all’attore.

La discontinuità che Naomi ha saputo imprimere al tennis, alle consuetudini che lo accompagnano e che hanno costituito materiale rassicurante, una sorta di confort zone all’occorrenza hanno la propria apoteosi nella conferenza stampa di Parigi a cui disse no, parlando per la prima volta della sua salute mentale. prima tra le prime, unica forse a sfatare un tabù per troppi ancora disturbante.

Padre di Haiti, madre giapponese: le origini

Cresciuta negli Stati Uniti da padre haitiano e madre giapponese, quando c’è stato da scegliere ha deciso di rappresentare nel mondo il Paese che aveva dato i natali a sua mamma e a cui si sentiva di appartenere anche per via indiretta. Suo padre, leggenda narra, le suggerì di rappresentare il Giappone per motivi distanti, legati al prestigio, alle possibilità di accesso a certe possibilità e anche per stimolare una certa fiamma in Naomi, sintesi perfetta e inedita nel mondo del tennis di una miscela di talento e umanità che il pubblico aveva stentato a conoscere, prima di allora.

Solo quando Serena Williams e sua sorella Venus affrontarono la tragica perdita in un conflitto a fuoco della sorella – buco nero delle loro esistenze – nel mondo del tennis si aprì quello spiraglio sulla salute mentale e sulla fragilità che neanche Martina Navratilova – che pure aveva inserito nel suo staff uno psicologo – aveva spezzato. Naomi Osaka è riuscita a ribaltare i piani, a porre al centro del dibattito la salute mentale degli sportivi quando l’attesa crescente era sulla propria prestazione al Roland Garros e in quella conferenza stampa, alla quale non si presentò, le dichiarazioni sui taccuini erano in qualche modo prevedibili, quasi inevitabili.

Fonte: ANSA

L’ultima apparizione all’evento Victoria’s Segret

La rottura del Roland Garros e le polemiche seguite

Era il 2021, le gerarchie stavano per essere ribaltate dall’opera di Osaka consapevole che si sarebbe consumata un’azione che avrebbe cambiato l’indirizzo culturale rispetto ai protagonisti come mai prima di allora, quando Naomi disertò la conferenza stampa di Parigi. In un lungo, articolato e diretto post su Instagram – che evitò così anche la mediazione dei tradizionali uffici stampa – illustrò la propria posizione ad appena 24 anni:

“Sento spesso dire che le persone non hanno riguardo per la salute mentale degli atleti, e questo è particolarmente vero ogni volta che vedo o partecipo a una conferenza stampa spesso ci vengono fatte le stesse domande, o altre che creano dubbi nella nostra mente. E non ho intenzione di sottopormi a persone che dubitano di me”.

La sua intenzione era stata anticipata agli organizzatori, con una mail indirizzata al direttore del torneo Guy Forget e al presidente FFT Gilles Moretton: nulla di improvvisato, anzi. Tutto era stato pianificato nei minimi dettagli. Nella mail sottolineava di non avere nulla contro il torneo.

“Questa presa di posizione è contro il sistema che impone agli atleti di parlare con la stampa anche in occasioni in cui soffrono di salute mentale. Credo che sia qualcosa di arcaico, e che serva una riforma. Dopo questo torneo voglio lavorare con i circuiti e gli organi di governo, per trovare il migliore compromesso e cambiare il sistema”.

La salute mentale degli sportivi al centro dei media

Sollevare il tema della depressione, e della salute mentale e psicologica in via generale, ha provocato uno tsunami mediatico estremamente polarizzato nell’immediato: Naomi ha intensificato le contrapposizioni, acuito le polemiche e scandagliato le opposte letture su un sistema – a cui si riferisce – che impone a una numero 1 o a una sportiva del suo rango, in particolare, gli obblighi derivanti dagli accordi commerciali e con le televisioni che detengono i diritti.

Dopo ogni match, Osaka come i colleghi devono rispondere alle domande delle tv che hanno acquisito anche questo diritto, poi la conferenza stampa in inglese e giapponese, infine le televisioni, più varie ed eventuali. Quando esplose il caso, sono stati riportati numeri esorbitanti di conferenze di Osaka senza contare le one-to-one, gli eventi promozionali e tutto quello che riguarda la comunicazione. Un turbinio a cui Naomi si è sottratto, nella piena consapevolezza e volontà di mettere un freno.

La lotta contro il razzismo e le discriminazioni razziali

Osaka è un personaggio di rottura, perché non si è mai sottratta a portare avanti le istanze a lei più prossime e vicine: la salute mentale, la lotta al razzismo e alle discriminazioni razziali. “When will it ever be enough?”, “quando sarà abbastanza?”, aveva scritto nel messaggio pubblicato sui social network con cui ha annunciato che non sarebbe scesa in campo per il Western & Southern Open, il torneo spostato da Cincinnati a New York. Si chiede quando saranno abbastanza gli atti di violenza della polizia contro i neri, quando saranno abbastanza gli hashtag perché si prenda posizione sulla violazione dei diritti delle comunità afroamericane e delle persone vittime di abusi.

“Sono un’atleta e una donna nera. E in quanto donna nera sento che ci sono cose molto più importanti che richiedono attenzione immediata, piuttosto che guardarmi giocare a tennis” ha scritto Osaka, che ha conosciuto la discriminazione doppiamente in quanto ‘nera’ negli Stati Uniti e in Giappone in quanto ‘ha-fu’, figlia di matrimoni misti. Uno sponsor giapponese l’ha trasformata nel personaggio di un cartone animato, ma con la pelle bianca.

Fonte: ANSA

Naomi Osaka nel pieno della pandemia e della sua denuncia contro il razzismo

Assistere al “continuo genocidio dei neri da parte della polizia mi dà la nausea” ha scritto, con una scelta lessicale che ha ricevuto anche delle critiche sui social. “Sono stanca di dire le stesse cose ancora e ancora”, ha aggiunto la ex numero 1 del mondo, che avrebbe dovuto sfidare Elise Mertens in semifinale. “Non mi aspetto che la mia decisione porti conseguenze drastiche o immediate” ha spiegato.

In quel post duro e schietto, senza filtri ebbe a dire quel che mancava. Addirittura a Esquire scrisse che “Essere non-razzisti non è abbastanza”, “dobbiamo essere anti-razzisti. E questo richiede uno sforzo collettivo”. E così la mascherina e le scarpe con la mascherina di Black Lives Matter.

Prima tennista ad essere ultima tedofora alle Olimpiadi

Per comprendere l’impatto che la rivoluzione silenziosa, a cui accennavamo, che Naomi ha costruito nel corso di una carriera unica si deve anche portare la memoria all’estate delle ultime Olimpiadi. Durante la cerimonia di apertura l’ultima tedofora, il cui nome non viene mai reso noto prima del momento fatidico, è stata lei: Naomi Osaka è stata l’ultima a tenere in mano la torcia olimpica, al termine della lunga staffetta.

Fonte: ANSA

Naomi Osaka tedofora alla cerimonia di apertura dei Giochi di Tokyo

A lei l’onore di accendere il tripode olimpico al centro dello Stadio, prima tennista ad avere questo ruolo nella storia dei Giochi. Non è stata indimenticabile, a Tokyo 2020, ma poco conto. Chi altra è riuscita in quel che ha fatto Naomi?

La gravidanza e lo stop

Nessuna, ribadiamolo. Anche in questa stagione ormai agli sgoccioli e che l’ha vista tornare alla ribalta nella mattinata del 10 novembre si è presa un pezzo di quel piccolo progetto dalle conseguenze immani: a pochi giorni dal forfait degli Australian Open, a modo suo, ha dato l’annuncio di una gravidanza che ha segnato uno stop inatteso. La campionessa nippostatunitense pubblicò su twitter (allora si chiamava ancora così) la foto di un’ecografia e un messaggio scritto sia in inglese che in giapponese.

La tennista ha dato alla luce la sua bambina, primogenita nata dalla sua relazione con il rapper Cordae, come annunciato dalla rivista statunitense People in esclusiva, nel luglio scorso a pochi mesi dalla decisione di non disputare gli Australian.

Si è presa un anno per sé e per la sua gravidanza e qualche mese per seguire la bimba: se i tempi decisi rimarranno tali, il campo la attende per San Silvestro. Ma poco conta pure questa scadenza: come ogni sua scelta, in questi anni, non vi è nulla da considerare ovvio, banale. Da quando ha intrapreso un corso che non ha precedenti assoluti.

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