È la notte delle stelle, non quelle cadenti ma (semmai) quelle ascendenti. Già, perché la carriera di tanti giovani prospetti può essere definita davvero in rampa di lancio nel momento stesso in cui il Commissioner NBA (oggi Adam Silver) fa il suo ingresso sul palco del Barclays Center di NY, teatro da anni ormai della serata che tiene a battesimo i talenti destinati a scrivere pagine di storia della lega professionistica americana.
Il Draft NBA è un concentrato di adrenalina, fortuna, azzardi, scommesse e chi più ne ha, più ne metta: dal suo esito dipende il destino di molte franchigie, le quali devono avere unicamente l’accortezza (e l’intelligenza) di pescare i prospetti giusti. Quest’anno l’attesa è alta perché ce n’è uno che, a detta di molti, è destinato a cambiare per sempre le “regole” del gioco. Perché un talento come Victor Wembanyama sul pianeta NBA non s’è ancora mai visto, e anche per questo i ben informati sono convinti che lascerà un’impronta indelebile negli anni a venire.
- La prima scelta: San Antonio già sogna
- Perchè Wembanyama è così speciale
- L'incognita trade dalla seconda chiamata
- Gli altri nomi e le steals
La prima scelta: San Antonio già sogna
Una puntata su Wembanyama alla numero 1 non è praticamente nemmeno quotata. I San Antonio Spurs non hanno mai fatto mistero di volerlo portare in Texas, e lo stesso giocatore francese s’è fatto scappare in un evento pubblico il nome della franchigia che lo farà sbarcare in USA (appunto gli Spurs).
Cosa lo rende tanto speciale? Intanto un fisico di 219 cm per quasi 100 kg, ereditato da una famiglia di cestisti (nonni, genitori e fratelli, nessuno escluso). Ma a stupire è piuttosto l’apertura “alare” di 240 cm, che lo fa sembrare un vero e proprio “alieno” e che rappresenta già una minaccia serissima per più di un avversario (il record all time di 3.830 stoppate di Olajuwon è già in pericolo).
Perchè Wembanyama è così speciale
A sorprendere è anche la versatilità con la quale Wemba si muove in campo: nonostante la statura, i movimenti sono veloci e coordinati, le mani assai gentili e la visione di gioco davvero notevole per un ragazzo di soli 19 anni e mezzo. E poi è un cecchino ai liberi, riserva che gli garantirà punti e gli consentirà di essere sempre aggressivo in attacco.
La stagione con i Metropolitans 92, squadra dell’hinterland parigino che ha trascinato fino alla finale del campionato transalpino (persa contro Monaco), gli ha permesso di prendere confidenza con il mondo professionistico, ma già nella tornata di gare disputate la scorsa estate in G-League (la lega di sviluppo dell’NBA) i dubbi sulla sua capacità di stare in campo erano stati spazzati via in fretta. Wemba alla 1 è una certezza, e a San Antonio già sognano di rinverdire i fasti di inizio millennio.
L’incognita trade dalla seconda chiamata
L’incertezza regna invece sovrana per ciò che riguarda la seconda chiamata: Scoot Henderson e Brandon Miller si sono spartiti i cosiddetti “mock”, vale a dire le previsioni degli addetti ai lavori su chi verrà scelto da Hornets (alla 2) e Blazers (alla 3).
Probabile che alla fine sarà Henderson a finire a Charlotte: guardia esplosiva e di grande talento, rivelatasi in tutto il suo splendore nella G-League nella passata stagione, se non ci fosse stato Wemba sarebbe stato destinato alla numero 1, e le schermaglie dialettiche dei mesi scorsi con il coetaneo francese (affrontato proprio in un test tra Ignite e Metro92 disputato a ottobre a Las Vegas) hanno già surriscaldato l’ambiente.
Henderson fa gola a tanti e non a caso s’è parlato negli ultimi giorni di una possibile operazione che coinvolga i New Orleans Pelicans, pronti a mettere sul piatto persino Zion Williamson (numero 1 del 2019) per salire e ricevere una delle prime chiamate. È soprattutto però Portland la franchigia pronta ad ascoltare eventuali offerte per consegnare a Lillard un giocatore esperto in grado di aiutarlo nella rincorsa all’anello (Bam Adebayo da Miami è più di un chiacchiericcio, oltre a Zion), ma non dovessero arrivare si accontenterebbe ben volentieri di Miller, in uscita da Alabama University, giocatore forte in transizione e bravo a rimbalzo, nonostante una corporatura non così massiccia.
Gli altri nomi e le steals
Quella dei Thompson potrebbe diventare la storia del Draft 2023: Amen e Ausar sono fratelli gemelli e a detta di molti sono destinati entrambi a finire in top 10. Amen probabilmente alla 4, chiamato da Houston, che ne ha apprezzato la rapidità d’esecuzione e la visione di gioco, Ausar è più bravo in difesa e riesce a tirare con maggiore continuità, anche se in generale offre qualche garanzia in meno e per questo potrebbe finire al massimo alla 6, chiamato da Orlando (oppure a scendere da Washington o Indiana).
Alla numero 5 i Pistons, grandi delusi della lottery, potrebbero consolarsi andando su Cam Whitmore, ala dotata di grandi mezzi fisici in uscita da Villanova, superbo schiacciatore in NCAA e prospetto intrigante per una franchigia che potrebbe affiancarlo a Jaden Ivey formando una coppia ben assortita e di sicuro avvenire.
Jerace Walker, Anthony Black, Taylor Hendricks e Gradey Dick dovrebbero andare a riempire le caselle fino alla decima chiamata dei Mavericks. Ma ogni Draft che si rispetti ha le sue “steals”, i “furti” per dirla all’italiana: giocatori sui quali nessuno (o pochissimi) sono pronti a scommettere, ma che nel tempo diventano vere e proprie pepite d’oro (ogni riferimento a Nikola Jokic, scelto nel 2014 alla 41 da Denver, è puramente voluto): Olivier Maxence-Prosper, Ben Sheppard, Seth Lundy, Tristan Vukcevic e Amari Bailey dovranno pazientare e non poco prima di sentire Adam Silver pronunciare il loro nome sul palco, ma chi li porta a casa potrebbe fare un enorme affare.