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Vavassori in lacrime cita Pilato, Errani l’abbraccia: o vinci o sei un fallito. C’è un certo Nadal. E ci siamo noi

Resta accesa la diatriba sulla cultura sportiva dopo lo sfogo di Vavassori al termine della sconfitta olimpica del doppio misto. Cosa ci racconta la storia di Nadal e qual è il rapporto dell'Italia con lo sport

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Auden Bavaro

Auden Bavaro

Giornalista

Lo sporco lavoro del coordinamento: qualcuno lo deve pur fare. Eppure, quando ha modo di pigiare le dita sulla tastiera, restituisce storie e racconti di sport che valgono il biglietto

O vinci o sei un fallito. Andrea Vavassori a una certa sbotta: eliminato dal doppio misto olimpico in coppia con Sara Errani, il torinese s’è sfogato senza tenersi dentro più niente. Qualche ora prima Benedetta Pilato, in lacrime, osava definire un quarto posto – il concetto è più articolato di così, lo so – come il meglio che le potesse capitare.

E diverse ore più avanti, Rafa Nadal si commiatava per sempre da Parigi – a questo punto viene facile pensare dai Giochi. Anche dal tennis? Ci siamo quasi – con la sconfitta in doppio. La suggestione di giocarsi l’ultima occasione con Carlos Alcaraz è stata un regalo che andava oltre il risultato.

Rafa e Carlito: alla Spagna basta così

Rafa e Carlito si sono premiati da soli in un passaggio di consegne che abbiamo colto tutti ma la Spagna un po’ di più. Provate a chiedere a uno spagnolo cosa gli freghi: la medaglia o la storia che c’è dietro? Cito Nadal non a caso: il maiorchino ha fatto la storia della racchetta. Idolo assoluto, mio e di milioni di altri. E cosa fa Rafa? Un finale di gloria suggerirebbe a uno come lui di dire basta all’apice, ovvero già un paio di anni fa.

Troppo grandi le ragioni di un corpo che s’è consumato tra terra rossa, cemento ed erba: ci sono infortuni che non guariscono più. Gambe e schiena si assestano, per carità, ma gli strascichi te li porti dietro per sempre. Invece Nadal si fa sordo, finge di ignorare i segnali di cedimento e non molla il metodo che più conosce: tirare dritto, rialzarsi, curarsi il più possibile ed esserci. Se quel massimale non basta più per tornare nell’Olimpo, bhè: allora che sia sufficiente per tornare a giocare.

C’è tanto o poco onore? Tanto o poco rispetto?

Va all’Olimpiade di Parigi sapendo benissimo che il risultato sportivo sarà una figuraccia. Passa il primo turno, al secondo trova Djokovic che nel primo set lo surclassa. Nel secondo Rafa tira fuori tutto quello che ha: è il set della vita. Quanto ne ha, Rafa? Giusto quello che gli basta per perdere con onore. 6-4 Nole. Il finale di carriera di Nadal è quello che ha scelto lui: c’è dentro tanto o poco onore, tanto o poco rispetto, tanta o poca dignità?

Ognuno ci vedrà qualcosa, io ne vedo parecchio: di onore, di rispetto, di dignità. Altri diranno che è stata una decisione pessima: meglio fermarsi in cima. Il fatto è che poi, alla fine di tutto, va bene la gloria va bene la classifica va bene l’Olimpo. Ma i conti, ciascuno, finisce a farseli da solo. E vale anche per quel pezzo di storia del tennis che è Nadal.

Vavassori non si tiene dentro niente

Vavassori non si tiene dentro niente. I quarti di finale finiscono male: Errani/Vavassori-Schuurs/Koolhof 7-6, 3-6, (9-11). La coppia mista italiana spreca un match point prima di cedere agli olandesi. Che sono un doppio di tutto rispetto. Sfuma il pass per la semifinale, non andiamo a medaglia.

Andrea è un gigante di 1,93 metri, come fai a immaginarlo in lacrime? Invece piangono tutti, anche i colossi. Sara Errani, nel confronto diretto, ne esce minuta: quel metro e sessanta e spicci si avvicina a Vavassori e sembra uno scricciolo.

Vavassori piange, Errani l’abbraccia

Uno di fianco all’altra, pare di rivedere una delle foto olimpiche che resteranno impresse: Victor Wembanyama che affronta Yuki Togashi, il più alto del basket (il francese) appaiato al più piccolo (il giapponese). È più facile – per riflesso condizionato e maledetto – immaginare che il crollo emotivo arrivi da Errani. Invece no, Sara è una roccia.

Mentre Vavassori lacrima, lei l’abbraccia. Andrea racconta di una partita difficile in cui – lui ed Errani – hanno dato tutto. Bravi nel primo set, un po’ di sfortuna nel secondo, poi la ruota del super tie-break che è girata per gli altri. Un dritto facile facile che Andrea ha sbagliato sull’ultimo punto chiude i discorsi.

O medaglia o sei un fallito

E che devo fare? Mettermi una corda al collo? Si sbaglia.

Qualcuno lo incalza, facendogli notare la semplicità di quel colpo. Ecco. Vavassori reagisce con un carico di istintività che si porta dietro parecchi ragionamenti precedenti. Si capisce benissimo che è così.

Le parole corrono spedite ma raccontano pensieri che non appartengono solo a quel momento, sono riflessioni già fatte altrove, in altri momenti.

Secondo me non potevamo fare più di così. Non c’è più la cultura della sconfitta: metto quel punto e mi prendo i complimenti, lo sbaglio e mi si dice che era un rigore. Lo sto notando negli ultimi giorni, guardando anche la polemica che ha coinvolto Benedetta Pilato ed Elisa Di Francisca. Si dà addosso all’atleta e si smette di guardare e apprezzare il percorso. O medaglia o sei un fallito. Non si apprezza più la persona, arrivare alle Olimpiadi dovrebbe significare avere dei valori.

Lo sport ha miriadi di sfaccettature

Penso quello che ha detto Vavassori. Però. Non sta scritto da nessuna parte che lo sport sia fucina di modelli ed esempi. Voglio dire: è una cornice nel quadro di una giornata, perché doverne uscire imparati? O vinci o hai perso. Le Olimpiadi si portano tre settimane di storie, migliaia di volti. Ogni storia, ciascuno di quei volti, è di suo un esempio.

Ma lo sport ha dentro miriadi di sfaccettature. Gente che vince, gente che lotta, gente che si sacrifica, gente che non ce la fa. Ci sono quelli che non mollano, c’è chi ha fatto sempre secondo, chi arriva ultimo. Si può essere felici se la classifica dice che davanti sono arrivati tutti gli altri, ma proprio tutti?

Un certo Mark Cavendish

Buttata lì: appena prima che iniziassero i Giochi un certo Mark Cavendish, ciclista inglese di 39 anni, si mette sui pedali tra una miriade di ragazzini – di più d’uno, per differenza di età, potrebbe essere il padre – e corre il Tour de France. Tre settimane di inferno agonistico che – alla soglia dei 40 anni – diventa una croce.

Finisce ultimo – proprio ultimo – in classifica generale ma nel corso di quelle migliaia di chilometri in bicicletta – fa in tempo a vincere una tappa. La 35esima in un giro di Francia. 16 anni dopo la prima vittoria e oltre tre anni dopo la 34esima. Ha scritto il record di successi: nessuno come lui. Ecco: nella storia del ciclismo c’è finito l’ultimo in classifica. Tanto per dire.

Qualche numero sulle Olimpiadi

Qualche numero: dalla prima Olimpiade, Atene 1896, a quella invernale di Pechino 2022, ci sono stati 861 super atleti. 601 uomini e 260 donne hanno preso parte ad almeno cinque edizioni dei Giochi olimpici. Qualcuno è arrivato a sei: 211 atleti. Ian Miller è inarrivabile: dieci Olimpiadi. A quota nove la tiratrice a segno Nino Salukvadze, il giapponese Noriaki Kasai ha otto partecipazioni, Merlene Ottey e Albert Demčenko sono arrivati a sette.

A Parigi ci sono oltre 10mila atleti a rappresentare 206 comitati olimpici. Le edizioni dei Giochi estivi sono 33, 24 quelle invernali. A spanne, mezzo milione di atleti. E quante sono le medaglie assegnate nel complesso, dalla prima olimpiade a quella del 2022? 20.273 che non corrispondono ad altrettanti vincitori perché c’è chi ne ha vinta più di una. Quindi: mezzo milione di atleti per poco più di quindicimila premiati. Restano giù dal podio le storie di centinaia di migliaia di loro.

Le ragioni di Vavassori

Dovrebbe funzionare che nello sport si cerchino esempi e modelli che possano insegnare qualcosa di più o di diverso? Dirci, per dire, cosa fare – e come farlo – per vivere un po’ meglio di così? Potrebbe, più che dovrebbe. Nello sport come nel resto. O vinci o hai fallito. Vavassori che parla da atleta ha tutte le ragioni del mondo. La stortura – probabilmente – siamo noi. La platea in ascolto: una pletora di aspiranti giudici e di pochissimi atleti.

Rapporto Sport 2023

Qual è il problema vero, a mio parere? Questo. Lo definisce il Rapporto Sport 2023:

38,2 milioni di italiani non praticano sport, solo un quarto della popolazione svolge attività sportiva in modo continuativo. L’Italia è 21esima in Europa per quota di adulti che praticano attività fisica nel tempo libero, solo il 27% della popolazione svolge esercizio fisico almeno una volta a settimana contro una media europea del 44%. 6 scuole su 10 sono prive di palestra.

Qualunque sportivo professionista gareggia per provare a vincere ma anche un amatoriale capirebbe il perché e il senso di quelle parole. Milioni di opinionisti in salotto, invece, fanno più fatica. Ecco: bastassero solo a questo – renderci più agonisti e acquisire così gli strumenti per esprimere giudizi – le Olimpiadi sarebbero l’esempio migliore e un modello necessario per tutti.

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