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Sinner, retroscena sul caso Clostebol: "Che fossi positivo me l'ha detto il manager, non riuscivo a parlare"

Jannik Sinner ha raccontato a Equire UK come è venuto a conoscenza della positività. "Mi chiamò il manager, ma non riuscivo a parlare. Quante notti insonni cercando risposte...".

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

“Una telefonata allunga la vita”, diceva un famosissimo spot che chi ha qualche anno in più sulle spalle non può certo aver dimenticato. Ma una telefonata è quella che ha complicato e non poco la vita di Jannik Sinner in un tranquillo pomeriggio a Monte Carlo, a casa sua, quando niente lasciava presagire un cataclisma del genere. Dall’altra parte della cornetta il manager Alex Vittur, intento a comunicargli qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la sua percezione delle cose.

La telefonata: “Ricordo solo il buio totale”

È stato così che Jannik Sinner è venuto a sapere di essere stato trovato positivo al Clostebol in un controllo effettuato durante il torneo di Indian Wells. “Ero nel mio appartamento, a Monte Carlo. Alex mi chiama e mi dice “Jannik, sei positivo”, e istintivamente a me venne da rispondergli “certo che sono positivo, lo sono sempre”. E lui a quel punto dovette puntualizzare la cosa: “No, sei positivo al doping”. In quel momento ricordo solo di aver avuto un buio totale. Non sapevo come affrontare la cosa, e tantomeno non mi veniva fuori alcuna parola dalla bocca. Ero letteralmente pietrificato”.

Questo dettaglio il numero uno del mondo l’ha raccontato a Esquire UK, oltre ad aggiungere ulteriori dettagli di quella giornata che in qualche modo ha messo un punto tra lo Jannik di prima e quello che avrebbe continuato a giocare dopo. “In quel momento davvero non sapevo a cosa pensare. Cercavo però di trovare una risposta a una precisa domanda: come poteva essere successa una cosa simile? Io sapevo di non aver fatto nulla di mia spontanea volontà, e pertanto non volevo crederci”.

I giorni difficili: “Mi sono sentito perso”

Sinner ha affrontato la telefonata più difficile della sua vita proprio nel momento in cui tutti i pianeti cominciavano ad allinearsi: la numero 1 mondiale a un passo, la prospettiva di giocare la stagione europea sul rosso (poi risultata in parte vana, complici i problemi all’anca che gli hanno impedito di giocare a Roma), la voglia di vivere finalmente la sua epopea al top del circuito.

Ma quella notizia rischiava di sconvolgere tutto. Mi sono sentito perso. Ancora oggi continuo a non capire cosa mi sia accaduto, e per questo dico che auguro di cuore che nessuno debba subire o passare quello che ho passato e in parte sto passando tutt’ora. È davvero una sfida dura.

Ancor più difficile però è stato dover serbare tutto per se stesso. “È stato un periodo ancor più difficile fino a quando la notizia non è stata resa pubblica, perché non potevo parlarne con nessuno, quindi nessuno sfogo e tanto meno nessuna richiesta di aiuto. Chi mi conosceva bene e mi vedeva giocare capiva che c’era qualcosa che non andava in me. E non dimentico le notti insonni passate a chiedermi dov’è che avessi sbagliato. Sono sempre stato certo di essere innocente, ma queste sono cose complesse”.

L’agonia di Wimbledon: “Avevo paura di tutto e di tutti”

Sinner sapeva che prima o poi la cosa sarebbe venuta a galla, ma l’attesa gli è sembrata interminabile. Così come la tensione se l’è divorato durante il torneo di Wimbledon, il massimo palcoscenico per un tennista. “In campo ero bianco, un po’ in tutti i sensi: sia perché lì dobbiamo vestire di bianco, ma soprattutto perché avevo paura e nei confronti delle persone provavo timore e paura.

Quando poi andai a Cincinnati per prepararmi alla stagione sul cemento americano mi guardavo intorno e mi chiedevo che cosa pensasse veramente la gente di me. Lì ho capito chi sono davvero i miei amici, ma è stata comunque dura. E ripeto, continua ad esserlo anche oggi”. Aspettando il ricorso della WADA e con quella spada di Damocle sulla testa che in qualche modo continuerà a pendere per tanto tempo ancora.

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