Vincere è bello, farlo in questo modo probabilmente lo è ancora di più. Una sensazione che Jannik Sinner ha imparato a provare frequentemente: quello conquistato è Melbourne è l’11esimo titolo ATP in carriera, certamente il più importante tra tutti quelli della collezione. Arrivato forse nel modo più inatteso, rimontando da due set a zero quello che è il vero specialista delle rimonte impossibili, anche se poi Medvedev al quinto set ha un bilancio negativo (7 vittorie e 10 sconfitte). Poco male: contava la sostanza, e Sinner ha fatto tornare i conti nel momento in cui nessuno ci avrebbe più scommesso sopra un euro.
- Servizio efficace, varietà di colpi: la migliore versione di Sinner
- Da ottobre il 93% di vittorie: nessuno come Jannik
- La metamorfosi contro i più grandi e i prossimi obiettivi
- Una primavera per andare a caccia della numero 1
Servizio efficace, varietà di colpi: la migliore versione di Sinner
Aspettando l’ospitata a Sanremo (Amadeus farà carte false per averlo: se c’è andato Djokovic quattro anni fa, difficile pensare che non possa toccare a Jannik adesso), Sinner può cominciare a scrutare ancora l’orizzonte e cercare di alzare ancora l’asticella.
A Melbourne ha vinto dimostrando di essere solido come poche altre volte lo era stato in vita sua: è arrivato all’atto conclusivo lasciando appena un set (al tiebreak) contro il numero uno del mondo, restando in campo meno di 15 ore in 6 partite. Ha mostrato enormi progressi al servizio, quello che fino a un anno fa era l’anello debole della catena, e ha mostrato anche una capacità di variare i colpi notevole. Quando non l’ha fatto, vedi fino a metà del secondo set della finale, sono stati dolori, perché a Medvedev non puoi concedere nulla.
Ma appena Jannik ha ritrovato percentuali accettabili con la prima e soprattutto turni in risposta decisamente più ficcanti, l’inerzia della partita è tornata tutta a suo favore. Perché il russo nei primi due set è stato pressoché perfetto, ma la vera discriminante è stata l’atteggiamento remissivo di Sinner, che ha avvertito tutto il peso della pressione sulle spalle. Una volta che se l’è scrollato di dosso, la musica è cambiata, come i tre set successivi hanno dimostrato con i fatti.
Da ottobre il 93% di vittorie: nessuno come Jannik
Cosa può scattare nella testa dell’altoatesino dopo una prova di forza tanto lampante è difficile dirlo. Sinner è andato dove Berrettini due anni e mezzo fa non era riuscito ad arrivare: il romano s’era fermato a un passo dal trionfo a Wimbledon, Jannik ha abbattuto una barriera (anche psicologica) di enorme portata. Chiaro che adesso ovunque andrà sarà l’uomo da battere: se gli avversari lo temevano dopo quanto fatto da ottobre a questa parte, figurarsi adesso.
Dalla sciagurata sconfitta patita contro Zverev agli US Open di inizio settembre (cui fece seguito la rinuncia alla spedizione di Davis Cup nei gironi di Bologna: molti che oggi lo esaltano per il trionfo australiano erano gli stessi che chiedevano per lui l’estromissione dal giro della nazionale, linciandolo pubblicamente per aver voltato le spalle all’Italia del tennis…) Sinner ha perso appena 2 delle 29 partite giocate. Tenere una media del 93% di vittorie nel resto della stagione sarà forse chiedere troppo, ma di sicuro una superiorità tanto lampante da uno che non fosse un rappresentante dei Fab4 (Federer, Nadal e Djokovic, e più di recente Alcaraz) era merce rarissima.
La metamorfosi contro i più grandi e i prossimi obiettivi
La versione di Jannik ammirata a Melbourne è la naturale prosecuzione di quella che tra ottobre e novembre aveva spazzato via Medvedev (tre volte), Djokovic (tre, seppur con in mezzo il ko. nella finale di Torino) e Rublev (due volte).
Il lavoro fatto con Vagnozzi e Cahill ha pagato dividendi: testa, gambe, cuore e (soprattutto) braccio adesso viaggiano spediti che è un piacere. In meno di 4 mesi Sinner s’è preso il mondo: i tornei ATP 500 di Pechino e Vienna, gli Australian Open, la Davis e la finale delle ATP Finals.
Quando tornerà in campo, presumibilmente nell’ATP 250 di Marsiglia in programma dal 5 febbraio (o al più tardi la settimana dopo a Rotterdam nell’ATP 500) avrà tutti i riflettori puntati addosso. Ma avrà anche tanti punti da difendere, e questo potrebbe in parte complicare la scalata più ambita: quella verso la numero uno del ranking.
Una primavera per andare a caccia della numero 1
Pur confermando la quarta posizione, Sinner ha avvicinato sensibilmente i primi tre della classifica mondiale. Medvedev oggi è distante 455 punti, Alcaraz 945, Djokovic 1.545. Il russo è quello maggiormente a rischio: lo scorso anno vinse a Rotterdam (in finale proprio su Sinner) e poi anche in Qatar e a Dubai, e dunque dovrà difendere un bottino di 1.250 punti prima di andare nei tornei primaverili americani, dove ne avrà altri 1.600 (ha vinto a Miami, ancora in finale contro Sinner, e perso a Indian Wells contro Alcaraz).
Lo spagnolo da qui a fine marzo di punti da difendere ne avrà 1.910, ed è un altro destinato a perderne qualcuno, a meno che non cambi registro dopo il deludente happy slam mandato a referto. Più difficile pensare di raggiungere Djokovic: avendo saltato la trasferta americana 2023, il serbo avrà da scartare soltanto i 300 punti della semifinale dell’ATP 500 di Dubai, e pertanto fino alla stagione europea sul rosso (che si aprirà a Monte Carlo a inizio aprile) potrà dormire sonni tranquilli.
Sinner invece di punti da difendere ne avrà 1.510, poco meno della metà rispetto ai 2.850 di Medvedev, il cui terzo posto sembra davvero a un passo dalla capitolazione. Insomma, se per la numero uno se ne riparlerà dopo la stagione sul rosso (sulla carta quella più ostica per Sinner), almeno la numero tre appare oggettivamente non così distante.