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Ciccone maglia a pois al Tour de France: Giulio entra nella Storia quando il ciclismo italiano ha un piede fuori

La consacrazione del geco d’Abruzzo quale leader della classifica degli scalatori rende meno pallido il momento del movimento Azzurro: sette corridori al via in Francia restano emblema di una crisi evidente

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Auden Bavaro

Auden Bavaro

Giornalista

Lo sporco lavoro del coordinamento: qualcuno lo deve pur fare. Eppure, quando ha modo di pigiare le dita sulla tastiera, restituisce storie e racconti di sport che valgono il biglietto

Fermi tutti. Giulio Ciccone maglia a Pois del Tour del France 2023 al termine della tappa 20 della Grande Boucle è un traguardo che rende meno pallide le sorti di un ciclismo – quello italiano – mai come ora in cerca di identità.

Ancora: la consacrazione del geco d’Abruzzo quale leader della classifica degli scalatori è un successo che nasce dall’anima e confluisce nella testa: non ha mai smesso, il corridore che di cognome fa come Louise Veronica, la Ciccone per eccellenza della musica pop, di studiare analiticamente altimetrie e percorsi. Ogni tappa, un disegno. Ogni disegno una messa in atto.

31 anni dopo Chiappucci, El Diablo

S’è fatto trovare pronto quando occorreva salire e staccare gli altri, inanellare punti, difendere quel vessillo che è molto più di un simbolo. Non solo perché l’ultimo italiano a pois risale a 31 anni fa: Claudio Chiappucci, El Diablo che faceva da capitano a un giovanissimo Marco Pantani in Carrera e che per lunghi tratti – prima dell’esplosione del Pirata, appunto – s’è preso in spalla l’Italia del pedale che amava le scalate e ha provato a renderla orgogliosa.

Ha di che gioire, Ciccone cuore matto, uno che, di punto in bianco e mentre dava il là alla carriera professionistica, ha dovuto anche considerare che le cose della vita, certe volte, vanno in direzione diametralmente opposta rispetto a dove vorremmo indirizzarle.

La tachicardia sopraventricolare

Lui cominciava ad andare forte e quel cuore gli si metteva di traverso: tachicardia sopraventricolare, era il 2016 quando Ciccone ha fatto giù dalla sella un paio di volte e, per altrettante volte, s’è accomodato su un lettino, pronto a farsi operare. La prima volta, il 20 ottobre; la seconda volta, il 29 dicembre. Poi la convalescenza, il riposo assoluto per diversi mesi.

A 60 chilometri dal nonno di Madonna

Classe 1994, nativo di Chieti: una sessantina di chilometri più in là rispetto ai genitori di Silvio Ciccone, che erano di Pacentro, in provincia de L’Aquila. Ma quando Silvio Ciccone e Madonna Louise Fortin misero al mondo Louise Veronica, la Madonna del pop, l’Italia era già un luogo che vedevano solo in cartolina. O in televisione.

176 centimetri di altezza per un peso forma che non supera i 60 chili: quando Giulio Ciccone mette piede nel ciclismo che conta, nei pro, il cuore inizia a reclamare attenzioni particolari.

Pare il peggiore dei segnali, invece no. Giulio pazienta e non molla, si opera e ricomincia a martellare il destino con il suo sogno più grande. Il 2017 è un anno di transizione: si rimette in sella, torna ai ritmi, respira il gruppo e inanella i soliti quasi 30mila chilometri a pedali.

Tra il 2018 e il 2019 viene fuori tutto

Poi, nel 2018, viene fuori quasi tutto e quello che non arriva subito, se lo prende l’anno dopo. Con ordine. Tour of the Alps e Giro d’Italia 2018 non sono più soltanto una palestra, diventano una vetrina. Sfiora l’azzurra al Giro ma fare i conti con Froome era un po’ come doverli fare adesso con Jonas Vingegaard.

Un rimpianto che non fa male, che non arreca dolore perché l’anno dopo, con il passaggio in Trek, Ciccone la maglia Azzurra se la va a prendere e se la cuce addosso a tal punto stretta che niente e nessuno gliela potrà sfilare.

La ciliegina di quel Giro, poi, è la vittoria a Ponte di Legno con la “presa” del Mortirolo. E mica finisce così.

Il volto della disperazione si trasforma in un carico di gioia

Tempo qualche settimana, prende parte anche al Tour e piazza un capolavoro di cui nemmeno s’era reso conto in corsa. Plance des Belles Filles è un’opportunità, nella testa di Giulio: l’11 luglio 2019 la corsa francese gli regala l’identico capolinea in cui erano stati già celebrati Vincenzo Nibali e Fabio Aru. Sembra messa lì apposta, quella tappa: tutta per Ciccone.

Sembra un gemellaggio naturale: Plance e l’Italia che si vogliono bene un bel po’. Giulio si infila nella fuga: con lui c’è un belga, Dylan Teuns. E gli frega la vittoria. L’espressione del volto di Giulio, appena dopo il traguardo, è di quelle che non si scordano: pare gli sia cascato il mondo addosso. Già, mica aveva fatto di conti, durante il percorso.

Macché, il solito Giulio: impeto e generosità, istinto e cuore (ne ha parecchio, ne ha così tanto da doverci prestare attenzioni particolari). Pensava alla tappa, mica alla maglia: quando si ritrova con la gialla addosso, scippata ad Alaphilippe per questione di secondi, la faccia cupissima diventa una faccia bellissima. Sale sul gradino più alto e si veste di giallo, un giallo così immenso che quella diapositiva, negli occhi di chi l’ha vista anche solo alla tv, è rimasta così. Impressa. Indelebile.

Il pois in ottima compagnia

Adesso il pois. Torna di moda anche la maglia a pallini: l’Italia l’aveva dismessa 31 anni fa. Da allora, quelle lentiggini rosse su tessuto bianco, nel nostro Paese, erano diventate demodè. L’ultimo a vestirla, Chiappucci.

Ma la storia della grande boucle è piena di italiani scalatori che hanno lasciato gli altri a ruota: sono stati dei pois anche Ottavio Bottecchia, Michele Gordini, Gino Bartali, Pierre Brambilla, Fausto Coppi, Gastone Nencini, Imerio Massignan, Giancarlo Bellini e Giovanni Battaglin.

Fonte: Ansa

Giulio Ciccone festeggia, nel corso della tappa 20 del Tour de France, la conquista matematica della maglia a pois

Giulio batte Gall e Vingegaard

A Giulio – 20esima tappa del Tour – serviva una prova di attacco e contenimento, gestione e controllo: nessun dubbio che avrebbe attaccato, subito, in fretta. Gli bastavano le prime salite, se fatte bene, per archiviare la pratica: partito con 88 punti in graduatoria, godeva di un vantaggio non sufficiente sull’austriaco Felix Gall (distaccato di 6) e sulla maglia gialla Jonas Vingegaard (7).

Il capolavoro di Ciccone si è consumato quando avrebbe dovuto: subito. Primo sul Ballon d’Alsace, primo su Col de la Croix de Monats, primo sul Col de Grosse Pierre, primo sul Col de la Schlucht. È qui che si conclude davvero – con epilogo trionfale – il Tour di Ciccone. Il resto dei chilometri, anche per lui come per Vingegaard, sono e saranno di pura passerella.

Quanto ha guadagnato Ciccone con la vittoria della maglia a pois

Due conti in tasca a Ciccone: insieme al lustro e al prestigio di un titolo di grande appeal (lo adorano i tifosi e gli appassionati, legati con filo doppio alle emozioni restituite dagli scalatori, che sono uomini d’attacco, di slancio e di fatica), Giulio intasca una somma complessiva di 33 mila 600 euro, il risultato dei 25 mila euro garantiti al vincitore finale e di una serie di bonus economici riconosciuti per i giorni trascorsi con la maglia a pois addosso e per i piazzamenti nei singoli passaggi.

Come esce il ciclismo italiano dal Tour de France

Cosa significa per il movimento nazionale il successo di Ciccone? Difficile dirlo: l’Italia ha iniziato questo Tour nel modo peggiore, ovvero mettendo nell’elenco dei partecipanti solo sette corridori. Una miseria che rende bene l’idea di dove sia collocato e collocabile, nel suo complesso, il ciclismo italiano.

Ed è un numero ancora più misero se lo mette in relazione alla storia tricolore di uno sport che ci ha sempre visti protagonisti. Sette italiani e nessuna vittoria di tappa. Nemmeno la bozza di un tentativo serio. Nemmeno una possibilità di giocarsene una fino alla fine: non con Trentin, non con Bettiol né con Moscon, Oss, Guarnieri e Mozzato. Lo stesso Ciccone, cui va reso ampio merito, ha chiuso la generale fuori dai primi trenta. Non fuori dalla Top 10, fuori dai primi trenta! Un altro numero? Eccolo: siamo a quattro Tour consecutivi senza vittorie di tappa italiane.

Il nostro mattoncino, a fare le fondamenta

Che Giulio, da solo, possa mettersi in spalla i destini biancorossoverdi è fuori luogo, insensato e – oltre tutto – non accadrà: meglio che pensi a scrivere la sua, di storia, e, facendolo, possa anche garantire risposte e certezze al movimento.

Ma la soluzione – le soluzioni – non stanno sulla sella della bici di Ciccone, semmai altrove. E non serve puntare il dito, fare la caccia al responsabile: semmai occorre una lucida e tempestiva riflessione. Servono correttivi immediati, partendo anche da lontano, dai giovanissimi. Dalle strutture. Dai tecnici. Dagli errori. Ma serve farlo in tempi rapidi perché, di qualunque correttivi si parla o si parlerà, se ne vedranno i benefici solo nel medio, lungo termine.

Certo, arrivasse il nuovo Vincenzo Nibali (per citare l’ultimo tra i grandi in ordine di tempo) all’improvviso, verrebbe tutto più facile. Il nuovo Nibali, adesso, non c’è: c’è Giulio Ciccone nel pieno della maturità che non è Nibali ma merita tutta la fiducia che si deve a chi se l’è guadagnata, mettendoci parecchio del suo.

E c’è Filippo Ganna che, nelle medesime ore in cui Ciccone metteva in bacheca il pois 2023, si andava a prendere, allo sprint in volata, la vittoria della prima tappa del Tour de Wallonie.

Sono i nostri mattoncini, Giulio e Filippo, e stanno lì: a fare le fondamenta.

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