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Tour de France, il bilancio della seconda settimana: Pogacar alieno, Vingo da applausi, Philipsen si riscatta, l'Italia sprofonda

La seconda settimana del Tour ha consacrato lo strapotere di Pogacar. Vingegaard ed Evenepoel non hanno nulla da recriminare. Italiani da piangere

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Quello che ha fatto Pogacar, gli umani non sarebbero mai stati in grado di farlo. Abbattere il muro dei 40’ nell’ascesa del Plateau de Beille è stato solo l’ultimo capolavoro di una serie che ormai non sembra più voler conoscere fine. E che ricorda a tutto il mondo del pedale che il 2024 è davvero l’anno del dominio totale dello sloveno, 26 anni da compiere tra due mesi, indiscutibilmente (oggi) il corridore più forte al mondo. Ma soprattutto, uno che sa andare forte sempre: a marzo, a maggio, a luglio, probabilmente anche a settembre. Il prototipo del corridore moderno, ma anche di qualcosa che non s’era mai visto prima.

Pogacar sa solo vincere: il prototipo del corridore moderno

Pogacar il Tour ce l’ha ormai in mano. Vingegaard ha provato a togliergli certezze a metà della seconda settimana, andando a riprenderlo nella tappa di Le Lioran e poi bruciandolo letteralmente allo sprint (e questa si che è una rarità). Ma s’è fermato lì, perché aver toccato “le corde sbagliate” nell’animo dello sloveno ha finito per provocare la reazione opposta: sui Pirenei Pogacar è stato perfetto, giocando con la tattica (Yates mandato in avanscoperta sul Pla d’Adet è stata una perla d’astuzia) e poi mostrando semplicemente di avere un altro motore.

Non era scontato dopo che nella prima parte di stagione aveva praticamente vinto sempre e ovunque: Strade Bianche, Vola a Catalunya, Liegi-Bastogne-Liegi e Giro d’Italia, uno dietro l’altro, senza mai una disconnessione. Al Tour peraltro sarebbe dovuto andare inizialmente “solo” per ragioni di sponsor: l’UAE mai si sarebbe privato dello sloveno, anche se non fosse stato in grado di battere la concorrenza, complici magari le fatiche del Giro. La risposta, al solito, l’ha data la strada.

Tattica, preparazione, esplosività: nessuno come lo sloveno

Le prime due settimane di corsa hanno detto sostanzialmente che questo Pogacar è di un altro pianeta, e per tutti. E a chi avanza il sospetto che con un Vingegaard al massimo della forma le cose sarebbero andate diversamente (non è sbagliato pensarlo, solo che non ci sarà mai la riprova), magari si farebbe cosa buona e giusta mostrando loro quella che oggi è la classifica del Tour: se Vingegaard paga poco più di tre minuti, di cui un paio accumulati nelle due tappe sui Pirenei, per gli altri si può parlar già di ritardi abissali, con Evenepoel sopra i 5 minuti e poi tutti gli altri in ritardo in doppia cifra, cioè da 10’ a salire.

E mentre Vingo e Remco in qualche modo hanno l’alibi della caduta al Giro dei Paesi Baschi, tale da aver loro impedito di preparare la corsa francese nel modo migliore possibile, tutti gli altri hanno corso in giro per il mondo tanto quanto Pogacar. Il cui dominio è al di sopra di ogni sospetto: nonostante abbia già 36 tappe tra Giro e Tour nelle gambe, nessuno ha dimostrato di saper andare forte quanto lui. Segno che anche la preparazione è stata impeccabile e senza alcuna sbavatura.

Vingo e Remco fanno il massimo. Philipsen è ancora vivo

Le Alpi potrebbero anche rimescolare le carte, ma da qui a pensare a un Pogacar “attaccabile” ce ne passa. La seconda settimana lo ha consacrato nella leggenda, ma ha anche detto che uno come Vingegaard merita solo rispetto e ammirazione: il danese ha lottato, ha persino provato ad attaccare, ma più di così non avrebbe potuto fare.

Evenepoel invece s’è gestito: Remco è al debutto nella corsa gialla, sa di non poter competere con gli altri due in salita e intanto ha blindato senza apparente fatica il podio, che non è cosa da poco. Unico neo il mancato duello con Roglic, che magari l’avrebbe aiutato a crescere di più: Primoz è incappato nell’ennesima caduta e forse deve cominciare a rassegnarsi all’idea che il treno colorato di giallo non passerà più. Sulla sicurezza però al Tour dovrebbero interrogarsi: tante cadute e pure tifosi indisciplinati (la vicenda delle patatine tirate addosso a Pogacar è ridicola).

Menzione speciale per un resiliente Mikel Landa, che può legittimamente ambire al quarto posto finale (e sarebbe il terzo dopo quelli del 2017 e 2020). Per il resto, la settimana delle volate recita Philipsen-Girmay 2-1: il belga s’è redento, l’eritreo però ha fatto un altro passo nella storia e per il momento conduce 3-2 nel duello generale, mantenendo la maglia verde. Unico deluso Van Aert, due volte piazzato secondo.

Italiani, quella quota 100 è un insulto alla storia

Capitolo italiani: la maledetta quota 100 è arrivata, come nelle più temute attese. Cento sono le tappe trascorse da quando Nibali vinse a Val Thorens, ultima vittoria di tappa di un corridore italiano al Tour (era il 2019). Oggettivamente, s’è vista pochissima Italia in questa grand boucle: Bettiol mai in corsa e “costretto” al ritiro per preparare le olimpiadi, Ciccone quinto sul Pla d’Adet ma mai davvero in grado di tenere il ritmo imposto dagli uomini UAE (è ottavo nelle generale, ma a 15’ e con la maglia a pois fuori portata).

Dagli altri, zero dividendi: Formolo, Moscon e Sobrero non si sono mai visti, Mozzato in volata non è mai pervenuto e Ballerini dopo 15 tappe è malinconicamente ultimo nella generale. Servirebbe un miracolo per lasciare il segno nell’ultima settimana, ma anche sperare comincia a diventare assai complicato…

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