Se è vero che, nel passaggio a RedBird Capital, la dirigenza è confermata in blocco, allora il titolo di campione d’Italia e società in grado di rifondarsi in soli tre anni è cosa da imputare all’uomo simbolo del Milan, chiuso il capitolo della proprietà Berlusconi.
Paolo Maldini, da dirigente, ha realizzato senza commettere quegli errori legati all’inesperienza che lo avevano segnato a principio, quando ancora non era limpido il progetto. Perché il merito principale di un uomo che da giocatore è stato inimitabile, con la maglia del Milan cucita addosso al pari di quella della nazionale, è stato quello di fare delle scelte forse impopolari, ma di assumersene anche la responsabilità.
- Paolo Maldini, le sue scelte difficili che hanno costruito il Milan campione
- I successi da calciatore: numero uno
- La prima vittoria da dirigente del Milan
- Le scelte in prospettiva: il fattore in più
- I rinnovi saltati per i top player
- Il nodo Rafael Leao, uomo simbolo della vittoria
Paolo Maldini, le sue scelte difficili che hanno costruito il Milan campione
Chi avrebbe lasciato andare (al PSG) Gianluigi Donnarumma dopo una stagione così e con la convinzione, l’insieme delle premesse che lo avevano accompagnato alla vigilia di Euro 2020?
Neanche chi ha solo le ragioni del portafogli a dettarne le decisioni lo avrebbe fatto. Invece Maldini ha puntato su Maignan e si è sottratto a un gioco che avrebbe portato, forse, a garantire una bandiera, ma anche a cedere su un punto che anche il club ha ritenuto imprescindibile.
I successi da calciatore: numero uno
Da calciatore, Maldini ha vinto tutto quello che c’era e che c’è da vincere: 26 trofei che sono equamente distribuiti nella sua lunga permanenza in quel di Milanello, nel rispetto della tradizione di famiglia incominciata con una generazione di campioni veri, di spirito e di gambe.
Difficile per chi, come lui, ha conquistato tanto grazie a un talento inimitabile che forse non rivedremo più superarsi anche da dirigente, nella società che per lui e i Maldini è più di quel che si può comprendere dall’esterno.
La prima vittoria da dirigente del Milan
Paolo Maldini, invece, ha vinto anche da dirigente pur consapevole delle difficoltà e con l’umiltà di chi ha appreso da qualche ingenuità, senza eccedere in dichiarazioni o esternazioni ma lavorando al fianco di un allenatore altrettanto convinto di essere dove si trova adesso, Stefano Pioli.
Ha creduto in questo tecnico quando forse più nessuno era convinto di una risalita.
Le scelte in prospettiva: il fattore in più
Invece con Frederic Massara, Maldini ha costruito operazione dopo operazione un gruppo saldo a partire dagli acquisti più lungimiranti, come quello di Theo Hernandez rivelatosi un pilastro anche nella nazionale francese, l’insostituibile Rafael Leao e il portiere Maignan, a cui è toccato l’ingrato compito di sostituire Donnarumma, cresciuto nelle giovanili del Milan e lanciato da Mihajlovic.
E poi i “grandi”, come Ibrahimovic e Kjaer, che hanno messo a disposizione mentalità ed esperienza in un mix di giovani vecchi potente, poderoso.
I rinnovi saltati per i top player
Come accennavamo, Maldini non è stato però molle e ha saputo interpretare il mandato di Scaroni e soprattutto dell’ad Ivan Gazidis di costruire una squadra che avesse delle potenzialità tecniche elevate, con un occhi ai conti senza cedere.
Insomma, l’addio a Gigio, Calhanoglu e a Kessie (che non è parso entusiasta come i compagni, nonostante l’indubbio supporto e valore tecnico in questo Milan) non è stato di principio, quanto un modo per trasmettere il valore del rispetto per tutti, per il gruppo, per le regole che si stanno progressivamente ripristinando all’interno della società.
Il nodo Rafael Leao, uomo simbolo della vittoria
Ora tocca godersi anche questo merito, nel giorno della gloria e del successo di queste importanti valutazioni. Poi, toccherà riprendere le redini e garantire al club il valore investito su Leao, con una clausola che si aggira attorno ai 150 milioni. Da record anche questa.