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Scudetto Napoli, Conte e quel trionfo sporco e cattivo: perché è il più bello

Sul trionfo azzurro c'è la firma di Conte, che ha saputo affrontare la cessione di Kvara e superare l'emergenza infortuni tra sfuriate e frecciatine

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Domenico Esposito

Domenico Esposito

Giornalista

Da vent’anni in campo e sul campo per vivere ogni evento in tutte le sue sfaccettature. Passione smisurata per il calcio e per la sfera di cuoio. Il pallone è una cosa serissima, guai a dirgli di no

Napoli e i napoletani ai piedi di Antonio Conte. Et voilà, il prodigio è compiuto. Partito con l’obiettivo di riportare gli azzurri in Champions, l’ex ct è andato oltre l’immaginabile conquistando quello che può essere definito uno scudetto sporco e cattivo. Il più bello. Perché arrivato al fotofinish al termine di un appassionante testa a testa con l’Inter. Ecco come il tecnico pugliese ha costruito il suo capolavoro.

Apoteosi Napoli, perché per Conte è lo scudetto più bello

Il quarto scudetto della storia del Napoli coincide con il sesto titolo dello specialista Conte. I campionati sono il suo forte: tre tricolori di fila con la Juventus dal 2011 al 2014, poi l’impresa in Premier League col Chelsea nel 2016/17 e la Serie A al timone dell’Inter nel 2020/21. Il vero capolavoro, però, è stato compiuto alle falde del Vesuvio.

La scorsa estate ha infatti assunto il comando di una squadra allo sbando che aveva chiuso al nono posto (-41 dall’Inter!) e l’ha riportata sul tetto d’Italia. Per certi verso questo scudetto può essere paragonato a quello vinto al suo primo anno sulla panchina della Juve, quando chiuse a +4 sul Milan, che crollò alla penultima giornata. Ma il trionfo in riva al Golfo ha un sapore speciale. Perché a Torino aveva Buffon, la BBC, Pirlo, Vidal, Marchisio, Del Piero. A Napoli, invece, ha lavorato con una rosa XS e per giunta indebolita dalla cessione della stella Kvaratskhelia a gennaio. Ma ha saputo comunque forgiare un gruppo a sua immagine e somiglianza, capace di superare qualsiasi difficoltà. Una squadra ‘anema e core’. Difesa di ferro – la meno battuta del torneo – e la concretezza preferita allo spettacolo.

Da Dimaro alla fatal Verona fino all’ultima col Cagliari

Nonostante il suo nome sia inevitabilmente legato alla Juventus, di cui è stato condottiero in campo e poi in panchina, a Napoli è stato accolto subito con enorme calore. Sin dal primo giorno Conte ha unito e mai diviso. E nel corso della stagione ha più volte ricordato cosa disse durante il ritiro a Dimaro: “È la prima volta che mi capita di ricevere senza aver prima dato”. A causa di un mercato bloccato dalla mancata partenza di Osimhen, l’avvio di stagione si è rivelato un pugno in faccia alle ambizioni: ko 3-0 a Verona.

Poi la svolta con gli innesti di McTominay e Lukaku, il fedelissimo di Conte. E il Napoli non s’è fermato più, tanto da risultare la squadra che per più tempo è rimasta in vetta al campionato. Una flessione si è registrata nel mese di febbraio, dopo l’addio di Kvara e gli infortuni che hanno azzerato la catena di sinistra. Però Antonio ha sempre trovato la soluzione giusta, dando vita a un undici camaleontico in grado di adattarsi a più sistemi di gioco: dal 4-3-3 al 3-5-2 con l’asso Jack Raspadori. All’ultima col Cagliari si è arrivati in riserva e perdendo ancora pezzi: i due pareggi contro Genoa e Parma hanno fatto tremare il popolo partenopeo, che, poi, però, s’è lasciato andare alla festa.

Le sfuriate di Conte: le frecciate alla società e il Var

Conte ci ha sempre messo la faccia, sempre. Diretto, franco, schietto. Dopo la parentesi poco esaltante al Tottenham, ha accettato con entusiasmo la proposta di De Laurentiis, contro cui – però – non sono mancate frecciate. Il caso Kvara è emblematico. Sul georgiano si è speso in prima persona, pensava di aver mediato tra le parti, di aver convinto il calciatore a restare fino al termine della stagione. Invece, la doccia fredda. Appena riaperto il mercato a gennaio, la fuga improvvisa al Parigi.

E la ricerca affannata del sostituto non ha sortito effetti: Manna ha cercato Garnacho e Adeyemi per poi prendere l’oggetto misterioso Okafor in chiusura di mercato. E non è arrivato neppure il difensore (Danilo) che avrebbe dovuto rimpiazzare Buongiorno. Ad aprile la stoccata che a tanti ha ricordato un film già visto: “In otto mesi ho capito che a Napoli tante cose non si possono fare”. Nel mirino anche i campi del centro sportivo di Castelvolturno, ritenuti responsabili dei numerosi ko che hanno falcidiato la rosa.

Anche altre sfuriate del tecnico hanno sollevato un polverone. Come quella contro il Var dopo Inter-Napoli dello scorso novembre (“va utilizzato il maniera serie e onesta, altrimenti si alimentano retropensieri”) e su cui è tornato anche nella conferenza della vigilia contro il Cagliari (“tutti si sono lamentati, ma nessuno ha avuto il mio eco”). Sì, è stato uno scudetto sporco e cattivo. Anche per questo, il più bello.

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