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Sentenza Juventus, manovra stipendi: il patteggiamento e l'anomalia di un processo ondivago. L'opinione dell'avvocato

Con la sentenza sulla Juventus che ha deciso la maximulta, si chiude un capitolo ma si pongono inevitabili quesiti su iter processuale

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Ettore Traini

Ettore Traini

Avvocato

Avvocato penalista ed esperto di diritto dello Sport. Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Milano, attualmente è membro della Commissione diritto dello sport dell’Ordine degli Avvocati di Milano

Con il patteggiamento concordato fra la società Juventus e la Procura Federale della Figc, accettato dal Tribunale federale nazionale, si è chiuso anche il filone relativo alla “manovra stipendi”.

L’impegno a non impugnare dinanzi al Collegio di garanzia l’ultima pronuncia emessa dalla Corte Federale, che ha inflitto dieci punti di penalizzazione alla Juventus, consente di ritenere chiuso il procedimento disciplinare sportivo nato dall’indagine della Procura della Repubblica di Torino denominata “Prisma”. A questo punto è possibile formulare qualche considerazione finale su questa indagine ed in particolare sull’operato della Giustizia sportiva.

Inchiesta Juventus: la contestazione originaria

Tutto ha origine dalla contestazione, da parte della Procura Federale della Figc, di illeciti di carattere amministrativo , c.d. “plusvalenze che, in parole semplici, sono fittizie e quindi fonte di responsabilità disciplinare laddove sia riscontrata una discrepanza tra il valore dichiarato del giocatore e quello effettivo.

Tale originaria prospettazione non riguardava solo la società Juventus e i suoi dirigenti bensì, in totale, 59 tesserati e ben 11 società di calcio.

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In realtà l’ipotesi della Procura si basava su elementi incerti ed ambigui; si veda ad esempio, fra gli altri, il dato costituito dal valore dei giocatori, così come riportato dal sito transfermarket e utilizzato, come ben evidenziato e censurato nella motivazione della pronuncia del Tribunale di primo grado, come parametro di riferimento per considerare “fittizia” la valutazione dei singoli calciatori.

In questo quadro l’esito costituito dalla doppia pronuncia di assoluzione, prima da parte del Tribunale federale e poi dalla Corte Federale d’appello, era assolutamente prevedibile.

Infatti, indagini di questo tipo possono avere esiti positivi, nell’ottica accusatoria, solo nell’ipotesi in cui le tesi della Procura siano sostenute da elementi di prova attendibili, quali quelle risultanti dalle intercettazioni telefoniche.

L’importanza dell’art.116 del Codice di procedura penale

L’art. 116 del codice di procedura penale in tale senso è decisivo, poiché consente la trasmissione degli atti di indagine, e quindi delle intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria ordinaria, dalla Procura della Repubblica alla Procura Figc, anche prima della formale chiusura delle stesse investigazioni penali.

La collaborazione tra la Procura della Repubblica e Procura Federale

Del resto, i più importanti procedimenti di carattere disciplinare-sportivo si sono basati proprio sulle risultanze delle intercettazioni telefoniche, da ultimo il procedimento di Cremona, sul “calcioscommesse”, in cui la proficua collaborazione fra il dott. De Martino capo della Procura ordinaria ed il dott. Stefano Palazzi, all’epoca responsabile della Procura Figc, consentì una rapida definizione del procedimento sportivo.

Non è dato sapere la ragione per la quale in questo caso la Procura Federale, in luogo di archiviare il procedimento per poi eventualmente riaprirlo una volta ottenute le intercettazioni, abbia comunque portato avanti l’indagine, andando così incontro ad un clamoroso flop (doppio proscioglimento, in primo e in secondo grado, di decine di posizioni processuali).

Valenza probatoria in ambito disciplinare delle intercettazioni

Infatti, come dimostrato successivamente con il deposito degli atti della Procura ordinaria di Torino a seguito della chiusura delle indagini ex art. 415 bis cpp, sono proprio i risultati delle intercettazioni telefoniche disposte che hanno consentito di prospettare la responsabilità disciplinare dei dirigenti e della stessa società Juventus e hanno legittimato la Procura Figc a presentare richiesta di revocazione della precedente pronuncia di proscioglimento.

Richiesta poi accolta dalla Corte Federale nonostante la valenza anche in campo disciplinare del principio del “ne bis in idem”, ossia l’impossibilità di processare per due volte un soggetto, società o individuo, per lo stesso fatto.

A ciò ha comunque fatto seguito la condanna della Juventus, da parte dello stesso organo di Giustizia, a 15 punti di penalizzazione, una successiva impugnazione della pronuncia da parte della predetta società dinanzi al Collegio di garanzia, che ha concluso annullando parzialmente la decisione impugnata azzerando conseguentemente la penalizzazione.

Infine, dopo il rinvio da parte del Collegio di garanzia, vi è stata la decisione della Corte Federale che ha inflitto alla Juventus dieci punti di penalizzazione.

L’ultima decisione è quindi il frutto finale di un procedimento disciplinare caratterizzato da un andamento come abbiamo visto ondivago, contraddittorio e quindi poco comprensibile e accettabile.

Le conclusioni

E’ corretto, in conclusione di questa breve disamina, affermare che la Giustizia sportiva, nonostante abbia fatto propri i principi del “giusto processo”, non possa assicurare, in considerazione dell’esigenza di celerità che la permea, un processo equo e garantista come quello ordinario; tuttavia è altrettanto legittimo esigere dalla stessa una maggiore attenzione, scrupolo e diligenza nell’affrontare questioni di carattere disciplinare, e ciò considerando la natura estremamente afflittiva delle sanzioni applicabili.

In tale ottica, l’unica soluzione soddisfacente è la professionalizzazione degli organi di Giustizia sportiva, iniziando proprio dell’organo delegato alle indagini ossia la Procura Federale della Figc che, a differenza della Procura Generale dello sport, è ancora formata da soggetti retribuiti solo sulla base di esigui rimborsi spese.

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