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Scarnecchia, ex stella e oggi chef: Vi dico io chi era Falcao

L'ex ala della Roma ha lasciato il calcio per la cucina ma ringrazia Liedholm e il brasiliano

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Pasquale Guardascione

Pasquale Guardascione

Giornalista

Da 30 anni racconta lo sport e la cronaca per diversi giornali ed emittenti, Per Virgilio Sport è lui che va a scovare i campioni del passato e con le sue interviste li riporta sul terreno di gioco Per Virgilio Sport è lui che va a scovare i campioni del passato, o emigrati all'estero a cercare fortuna e con le sue interviste li riporta sul terreno di gioco

Una vita spesa tra le sue due passioni: prima il calcio e, poi, la cucina. Roberto Scarnecchia ex esterno di Roma, Napoli, Pisa e Milan negli anni Ottanta in massima serie, oggi è un affermato chef stellato che tra l’altro quattro anni fa ha vinto il premio “Sette Colli”, riconoscimento riservato alle bandiere giallorosse.

Signor Scarnecchia, secondo lei il calcio di oggi in cosa è cambiato rispetto a quello di quando giocava lei?
“Il calcio di oggi è molto più azienda rispetto allo sport, spettacolo, gioco, empatia,
feeling con i tifosi degli anni Ottanta. Allora c’era più un fine sportivo e di raggiungere uno scopo agonistico. Oggi, invece, si è orientati verso la soddisfazione aziendale e non più quella sentimentale. Quindi, molto più razionalità a poca emozionalità”.

Come è iniziata la sua carriera calcistica, ricorda i suoi inizi all’Almas Roma?
“La mia passione per il calcio è iniziata dopo quella della cucina. Avevo sette-otto anni e stavo spesso in cucina con mia madre e mia nonna. Poi, verso i dodici anni, quando si facevano le porte con gli zaini della scuola e si giocava sui campetti davanti all’oratorio. Io facevo atletica leggera e pian piano sono passato al calcio.
Sono arrivato all’Almas Roma che avevo diciassette anni giocando in serie D e da lì è nata la mia carriera”.

Nella Roma ha giocato quasi cento partite al fianco di Tancredi, Falcao, Conti, Pruzzo. Ha qualche aneddoto particolare che ricorda?
Falcao è stato un grande amico, un maestro e un insegnante di vita ma lui oltre che in campo era una persona fantastica anche fuori dal terreno di gioco. E’ un buono d’animo di quelli decisi, suo grande punto a favore, che gli ha permesso di fare una carriera da grande fuoriclasse. Un umile e allo stesso tempo un eroe. In quegli anni ricordo tante cose divertenti alla Roma. Come quando andammo in Spagna a giocare e nessuno di noi sapeva parlare lo spagnolo, io ero l’unico che parlava inglese e quando ordinavamo per pranzare o cenare parlavano tutti italiano lentamente pensando che così i camerieri spagnoli li capissero”.

E’ stato soprannominato Bigino o Speedy Gonzales, chi le mise questi due soprannomi?
“Bigino mi fu affibbiato quando militavo nel Milan perché ero piccolo e un cocco del gruppo. Speedy Gonzales, invece, perché ero velocissimo e in questo mi ha aiutato molto l’atletica leggera che facevo. Entrambi me li diedero prima i tifosi e, poi, la stampa”.

Quanto è stato importante Niels Liedholm nella sua carriera?
“Importantissimo, lui è stato un secondo padre sia in campo che fuori. Mi ha sempre portato con se ed ero considerato uno dei suoi preferiti. E’ chiaro che quando uno dei migliori allenatori del Mondo dice che punta su di te, ci cominci pure a credere. Il segreto del mio successo è stato anche questo”.

E’ vero che qualche volta cucinava lei nei ritiri della Roma?
“Si spesso lo facevo ma sempre pasta con sughi molto veloci, i miei ex compagni di squadra amavano molto i miei primi piatti”.

Poi, lascia la Roma, per andare al Napoli, e i giallorossi vinsero lo scudetto. Ha un rimpianto per questo?
“Il fatto di lasciare la Roma era anche per fare la mia carriera, è chiaro che ho sbagliato il tempo. Non ho lasciato Liedholm perché, poi, lui mi riprese al Milan. Tanto che gli dissi che volevo andare a fare un’esperienza e andai al Napoli. Ho sbagliato l’anno. Nei partenopei giocavo assieme a Ramon Diaz e Claudio Pellegrini in attacco, molto forte. Bellissimo ricordo di quell’anno nelle fila dei partenopei”.

Se la ricorda la rete nel derby della Madonnina che realizzò all’Inter nella semifinale di Coppa Italia?
“Quella rete mi ha permesso di rimanere dei cuori dei tifosi rossoneri, partii dalla mia area di rigore con Terraneo che mi diede il pallone con le mani. Feci tutta la discesa e scambiai con Mark Hateley e, poi, infilai Zenga. Nel Milan ritrovai Agostino Di Bartolomei, il compagno con cui ho giocato più minuti nel corso della mia carriera. Dico sempre che la cosa fantastica è che Agostino ce lo ricordiamo tutti giorni anche oggi, rimane nelle nostre menti l’immagine di un eterno ragazzo”.

Poi, perché nel 1986 decise di scendere in serie C1 a Barletta?
“Ero stanco, mi dissi che volevo giocare un altro paio di anni. Il Barletta mi fece un’offerta pazzesca, avevo deciso a trent’anni di smettere. Feci coppia con Nicola D’Ottavio, con cui ci sentiamo molto anche oggi. In serie C faceva sempre la differenza e per questo scelse di non salire di categoria. Insieme vincemmo un campionato. Sono felicissimo ancora oggi di aver fatto la scelta di andare a Barletta in quegli anni, lo conservo nel mio cuore”.

Quindi, il ritorno alla prima passione, quella per la cucina con la stella Michelin.
“Nel 1990 appena appese le scarpette al chiodo andai nel ristorante di mio padre alla Romanina e da lì è cominciata la mia carriera culinaria. Sono entrato come commis di cucina, lo chef mi disse questo è più bravo di noi e mi misero subito ai primi piatti. Poi, partii per gli Stati Uniti d’America dove sono stato quattro anni e mi sono formato e quando tornai nel 1999 è cominciata questa mia carriera che dura da vent’anni”.

Se oggi arrivasse una chiamata per allenare una squadra di calcio cosa farebbe?
“Se arriva una richiesta io vado ad allenare, perché il calcio e la cucina si abbinano benissimo e sono libero per fare l’allenatore. E’ una parte importante della mia vita e del mio cuore e non potrei viverne senza di entrambe”.

Quali sono i suoi progetti futuri?
“Ne ho tanti, per ora conduco su Alma Tv il programma Ciao Chef e per anni Masterchef su Roma Tv. Farò dei corsi di università della cucina e ho un canale youtube personale. Io prima di far toccare una pentola, la farina o un coltello ce ne vuole. C’è bisogno di conoscere bene la materia prima e tutto il suo mondo che c’è dietro”.

Infine, come nacque la sua partecipazione al film-cult l’Allenatore nel Pallone?
“Io sono molto amico di Lino Banfi, ci siamo conosciuti in un set di un film, l’ho fatto diventare romanista. Sono molto legato a lui, ci chiamò diversi di noi della Roma per partecipare e ognuno fece una scena”.

Pasquale Guardascione

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