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Tennis, Sinner aveva ragione. Dopo Pechino, tutti sul carro di Jannik. Ma prima? Dov'erano?

A Jannik Sinner qualcuno dovrà chiedere scusa. Lo hanno criticato in ogni forma e con ogni mezzo, di fango se n'è visto arrivare parecchio. Ma il trionfo di Pechino ha mostrato che aveva le idee chiare

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Qualcuno dovrà pure chiedergli scusa. Perché di fango addosso, Jannik Sinner se n’è visto arrivare tanto nelle ultime settimane.

Come se quella mancata risposta alla “chiamata alle armi” del capitano Filippo Volandri per la fase a gironi di Davis Cup fosse stata solo un capriccio, un vezzo da star, una libera concessione presa da qualcuno che non sapeva cosa stesse facendo.

Lo hanno criticato in ogni forma e con ogni mezzo: via social (ma quello ci sta, l’internauta medio vive una vita di frustrazione), via media, addirittura con dichiarazioni ufficiali (Malagò, giusto per citarne uno).

Il desiderio di un attimo di pausa

Colleghi, ex giocatori, addirittura sportivi di altre discipline: tutti sono saliti sul carro dei bastian contrari quando Sinner, di ritorno da un mese e mezzo in Nord America nel quale s’è messo in tasca un Masters 1000 (a Toronto) e un ottavo di finale a Flushing Meadows (ko con Zverev dopo una maratona durata 5 set), ha espresso il desiderio di prendersi un attimo di pausa, di staccare un po’ la spina, spiegando all’universo che gli gira intorno che a 22 anni uno vorrebbe spaccare il mondo ogni santo giorno, ma che per farlo bene deve anche avere il tempo necessario per riposare.

A metà settembre Jannik era il bersaglio dell’Italia applicata allo sport, più di quanto non lo fosse Mazzanti (ed era difficile in quel preciso momento). Oggi è incensato come il nuovo profeta dello sport italiano. Perché tutto questo? Perché la gente ha la memoria corta. E forse, pensando a quel che in tanti dicono e sostengono, non è nemmeno tutto questo male.

Nono titolo ATP a 22 anni

Sinner a Pechino ha dimostrato che quelle tre settimane di break dopo gli US Open gli sono servite veramente per ribadire al mondo tutta la sua forza.

Il nono titolo ATP conquistato alla veneranda età di 22 anni e una paio di mesi scarsi è stato forse il più difficile, almeno scrutando i nomi degli avversari che ha affrontato lungo il cammino: passino Evans e Nishioka, ma Dimitrov è sempre un cagnaccio duro a morire, per giunta se nel bel mezzo della partita devi farti passare un bidone della spazzatura e ficcarci la testa dentro per vomitare.

Scena mai vista su un campo di tennis, ma forse la cosa davvero sorprendente è che dopo quell’infausto momento Jannik ha ripreso il mano la racchetta e con malcelata nonchalance è andato a vincere una partita che s’era fatta assai complicata, anche per gli evidenti problemi gastrointestinali mostrati in mondovisione.

Prima Alcaraz poi Medvedev

Poi, però, quando tutti si aspettavano la solita “resa onorevole” (aveva anche la scusa del malessere del lunedì sera…), ecco il capolavoro: prima la battaglia con Alcaraz, una sfida fatta di break e contro break nella quale, in coda a un primo set combattutissimo, lo spagnolo è uscito distrutto mentalmente nel secondo parziale, perso 6-1.

Poi l’altra battaglia, stavolta di resilienza pura, contro un Medvedev che sin qui lo aveva battuto in tutte e 6 le occasioni in cui i due si erano incontrati, lasciandogli la miseria di due set. E che a primavera gli aveva negato la gioia di vincere altri tornei tanto a Rotterdam, quanto a Miami. Non c’è due senza tre? No, caro Daniil. Stavolta hai perso tu.

La forza nella testa

Nel 2021, alle Nitto ATP Finals alle quali Sinner ebbe modo di accedere dopo il ritiro per infortunio di Berrettini, al termine di un set dominato per 6-0 Medvedev ebbe la brutta idea di sbadigliare in faccia a Jannik, forse perché annoiato dallo scarso livello tecnico del match.

Oggi la faccia del russo era più cupa, persa nel vuoto: non ha giocato male Daniil, che ha servito il 73% di prime (e pure una seconda su una palla break a 195 km/h: folle, ma efficace) e ha cercato in tutti i modi di variare il proprio gioco per provare ad arginare la verve dell’altoatesino, che ha gli ha concesso però una sola palla break, mentre Medvedev gliene ha offerte 5, salvandole tutte grazie alla testardaggine che lo contraddistingue.

A un certo punto, Daniil sembrava il solito muro di gomma capace di sgretolare certezze in ogni rivale, cosa che gli era già riuscita contro Djokovic, Alcaraz e chissà quanti altri colleghi in passato (Sinner incluso, sennò non stava sotto 6-0 nei precedenti). Jannik, però, ne è venuto fuori con una forza e una capacità di rovesciare l’inerzia dello scambio da veterano, dominandolo nei due tie-break. Sotto questo aspetto, un upgrade enorme rispetto ai tentennamenti mostrati a New York il mese scorso.

Torino, arriviamo

Un grazie lo devo dire anche a Medvedev, che a furia di battermi mi ha spinto a migliorare sempre di più, e che almeno stavolta ha deciso di farmi vincere una partita…

ha ammesso dopo aver ricevuto il trofeo il rosso di San Candido, tradendo l’emozione del momento, ma restando umile come pochi altri al suo livello.

C’è tanto da migliorare. Con tutti gli uomini dello staff avevamo lavorato molto in funzione di questo torneo, puntando a far bene. Aver battuto avversari fortissimi ha rafforzato le mie certezze, ma il lavoro non è finito.

Per esempio, c’è Shanghai dietro l’angolo (esordirà contro Giron, probabilmente già sabato prossimo), e poi ci sono Parigi-Bercy e le Nitto ATP Finals di Torino, alle quali è ormai qualificato di diritto (gli mancano 30 punti, ma va beh… facciamo i seri) e dove, c’è da scommetterlo, i tifosi pronti a salire sul carro non si faranno mancare niente.

Quelli che due settimane fa lo additavano come il “disertore” del tennis italiano, e che oggi lo osannano per essere diventato il secondo tennista di sempre dopo Adriano Panatta (ma 47 anni dopo) a diventare numero 4 al mondo. Per fortuna la Cina è lontana, e magari Jannik di certi complimenti non saprà che farsene. Lui, come sempre, ha tirato dritto. Si, anche di dritto. E ha fatto malissimo alla sua bestia nera. Ma questa settimana, tutto quel che ha toccato s’è tramutato in oro.

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