Onestà e intelligenza: sono due valore che rispecchiano Lucas Biglia, ex centrocampista di Lazio e Milan. Da poco ha appeso le scarpe al chiodo e ha dovuto convivere con un brutto momento della sua vita. Ora lo ha superato. In una lunga intervista per La Nacion ha affrontato tutti gli step della sua carriera. Dai bei momenti a quelli meno felici.
- Biglia e la fine della carriera: "Ho sentito il vuoto"
- "Leonardo non mi voleva al Milan. A Istanbul un disastro"
- La depressione e il padel: "Mi ha salvato"
- Il Mondiale in Russia e il fallo di Gomez: "Non mi ha scritto"
- "Ibra? Ti fa avere fiducia. In spogliatoio diceva..."
Biglia e la fine della carriera: “Ho sentito il vuoto”
L’ex giocatore della Lazio si è raccontato senza veli: “Quando la tua carriera finisce ti rendi conto che molte persone che avevi al tuo fianco erano effettivamente lì per quello che stavi ottenendo. Non per quello che eri come persona. E lì trovi il vuoto. Ho avuto la fortuna di crescere con i valori della mia famiglia e di iniziare ad allenarmi con allenatori come Jorge Rodríguez e Carlos Balcaza nell’Argentinos Juniors, che mi hanno insegnato come essere un uomo.
E mi ha aiutato ad affrontare il colpo più grande della mia carriera, quello che ho ricevuto dal 2014 al 2018. Quando sono tornato dai Mondiali in Brasile, nel 2014, la gente mi mandava messaggi sui miei social chiedendomi foto, autografarmi camicie. L’ho fatto senza alcun problema. Dopo le finali perse nella Copa América del 2015 e del 2016 mi guardavano già con un’altra faccia, e dopo Russia 2018 non ve lo dico nemmeno…”
“Leonardo non mi voleva al Milan. A Istanbul un disastro”
“Quando Leonardo è diventato ds del Milan nel gennaio 2020, non mi voleva“ – ha svelato Biglia. Poi ha proseguito: “Nonostante avessi la possibilità di un altro anno, ho deciso di non rinnovare. Fiorentina e Torino erano le mie due opzioni ed è arrivata la pandemia. Il calcio si è fermato. Sono rimasto senza squadra a fine mercato e a 34 anni. Mi sono disperato e ho dato la priorità a una bella città come Istanbul. Sono andato a Karagümrük e ho trovato una squadra neopromossa, senza centro sportivo, un disastro a livello organizzativo, una terza divisione in Argentina era meglio.
Dopo un anno volevo andare via, il Fenerbahçe mi cercava, ma non mi lasciavano andare. Poi mi sono trasferito al Başakşehir e ho giocato tanto, anche in Conference League. Ho disputato 47 partite e abbiamo perso la finale di Coppa di Turchia. Mi restava un anno, ma ho parlato con mia moglie, con i ragazzi più grandi e ho chiesto loro cosa volessero fare. Mi hanno detto che non ne potevano più, che volevano andarsene. E siamo tornati a Milano”.
La depressione e il padel: “Mi ha salvato”
Dopo la sua esperienza in Turchia ha vissuto un brutto momento di depressione e di lontananza dal calcio fino alla decisione di smettere: “Mi sono allenato da solo e non è facile. Ti distruggi, finisci per perdere fiducia in te stesso, ti svaluti, inizi a disprezzarti. Un giorno stavo tornando a casa dopo la palestra e ho detto a mia moglie ‘ciao, basta, non voglio sapere altro’. Mi sono sentito male, 20 anni a giocare a calcio e nessuno mi voleva più.
Ho letto molti libri di auto-aiuto, soprattutto del messicano Daniel Habif. E uno in particolare, chiamato “Unbreakable”. Oggi, che ne sono uscito, da fuori, già la vedo diversamente e mi chiedo perché non mi sono appoggiato a qualcuno, almeno per sfogarmi. Ma non l’ho fatto. Ricordo che mi massacravo da solo in macchina, guardandomi nello specchietto retrovisore. E nel padel ho trovato un sostituto per tenere la testa occupata, allenarmi, sforzarmi di migliorare. E’ un’ottima alternativa per non perdere il ritmo e continuare a sentirsi competitivi”.
Il Mondiale in Russia e il fallo di Gomez: “Non mi ha scritto”
Biglia ha parlato anche del suo ultimo Mondiale, in cui ha preso parte alla spedizione nonostante i tanti problemi fisici: “Sono andato in Russia, ho giocato 45 minuti e non ce la facevo più. E ho detto a Jorge, prima delle partite con Nigeria e Francia: “Non sono pronto per giocare, non posso muovermi, fa male”. Veniva da un brutto infortunio in seguito a uno scontro con Gomez, ma il senso di appartenenza è andato oltre il dolore. La sua ultima esperienza con l’albiceleste.
Dall’Argentina al Milan: “A livello personale non solo ho finito male il Mondiale, ma poi anche nel mio club. Ho chiesto a Gattuso il permesso di iniziare più tardi il precampionato e recuperare bene perché ero nella merda. Un mese dopo mi sono rotto l’inserzione del tendine d’Achille. Ho dovuto ricostruirmi fisicamente da zero e avevo già 33 anni.
Se ho mai parlato con il Papu dopo il suo brutto fallo? L’ho incontrato 20 giorni fa, in un torneo di padel. Mio figlio lo ha visto e mi ha chiesto: ‘Papà, voglio fare una foto con lui’. E mica potevo dirgli di no perché una volta mi ha rotto tutto. Anche Denis mi ha chiesto il permesso di parlare con lui. E Gomez gli ha detto che andava tutto bene, che si era divertito moltissimo con me. Ha detto questo, ma non mi ha mai mandato un messaggio né mi ha chiamato. E sono passati sei anni. ‘Pazzesco, guarda, mi scuso tanto’, qualcosa del genere. Se ti comporti così devo pensare che non lo hai fatto in buona fede“.
“Ibra? Ti fa avere fiducia. In spogliatoio diceva…”
Infine l’ex centrocampista di Milan e Lazio ha parlato anche dei suoi ex compagni di squadra. Su Immobile: “Una bestia. Molto appassionato. Una volta ha passato tutta la giornata a parlare di Maradona. Viveva con l’arco tra le sopracciglia, uno dei giocatori più strazianti che conoscessi perché tutti i palloni della Lazio dovevano essere per lui. Era ossessionato dal gol“.
Su Ibrahimovic: “Il secondo miglior calciatore con cui ho giocato. Sembra arrogante, ma ti fa avere la fiducia in te stesso. Se gli dicessi che affronterà il miglior difensore del mondo, ti direbbe: “Nessun problema, sono Zlatan”. Non ti permetteva errori. Se non ti vedeva coinvolto, era capace di venire a darti una “bistecca” per svegliarti. Ha accettato attriti e sfide per spingersi oltre. Potevi ucciderlo durante un allenamento e poi nello spogliatoio lui ti stringeva la mano e diceva: “Grazie, perché oggi mi hai aiutato a diventare più grande”. Pensava che l’unico che non avrebbe potuto superare fosse Messi, ma sentiva di poterlo fare con tutti gli altri”.