Se c’è un motivo per il quale al mattino il primo pensiero di ogni appassionato italiano di basket è rivolto a Paolo Banchero, beh, quella ragione si è palesata magnificamente stamattina anche ai meno esperti della palla a spicchi. Perché ritrovarsi tra le mani un Rookie of the Year in NBA con passaporto italiano è una sensazione mai provata prima: in 71 stagioni, appena 5 volte un giocatore non statunitense ha conquistato il prestigioso riconoscimento.
A dirla tutta, però, Paolo non è tra questi: per la prima volta nella storia, il premio è andato a un giocatore con doppio passaporto. Non tradisca il cognome (come il nome) assai italiano: Banchero è nato a Seattle da papà Mario (ex giocatore universitario di football) e mamma Rhonda Smith che, da giocatrice professionista qual è stata, in qualche modo l’ha indirizzato, anche a costo di qualche rimprovero deciso, come si conviene a un sergente di ferro.
- La storia dei Banchero: da Savignone a Seattle, dall'Italia agli Usa
- I numeri di Banchero (e i margini di miglioramento)
- Orlando sogna il Dream Team: Banchero e Wembanyama
- La (mezza) promessa a Pozzecco e all'Italia
- Alle origini del Predestinato
- Coach K, i Blue Devils e l'NCAA
- Draft 2022, prima chiama: "Magic" Banchero
- Curiosità su Paolo Banchero
La storia dei Banchero: da Savignone a Seattle, dall’Italia agli Usa
L’Italia, seppur ce l’abbia nel sangue, sinora l’ha vista solo in cartolina. Questo perché sono passati più di 100 anni da quando il suo bisnonno paterno attraversò l’Oceano Atlantico per far rotta nel nuovo mondo, accettando di andare a lavorare nelle miniere di carbone nei dintorni di Seattle dopo aver salutato Savignone, piccola località ligure (appena 3.000 abitanti) situata all’interno della città metropolitana di Genova.
I liguri, specialmente i genovesi: persone di cuore ma, si dice, col braccino corto. Eppure Paolo, quando mette piede in campo, fa della generosità la sua arma migliore. Di più: le braccia, rispetto alla media dei suoi colleghi, ce le ha abbastanza corte; i centimetri, anche per via del ruolo – gioca da centro (o da ala grande, secondo un’interpretazione un po’ più moderna) – non sono tanti.
I numeri di Banchero (e i margini di miglioramento)
Ma è proprio la stazza atipica a renderlo, se possibile, diverso dagli altri centri della lega: Paolo Banchero non è deputato solo a spazzar via gente sotto canestro o a raccogliere rimbalzi, si distingue anche per la capacità innata nel portare palla e condurre un’azione, quasi fosse un playmaker.
Soprattutto, nel corso del suo primo anno in NBA, ha saputo costruirsi un buon tiro dal mid range, non necessariamente spalle a canestro come fanno solitamente i lunghi, chiudendo col il 42.7% di canestri realizzati e 20 punti di media a partita. Su alcuni aspetti del gioco sa di avere ancora margini importanti: l’estate, sicuro, gli servirà per migliorare le percentuali dall’arco – il tiro da tre punti – dove viaggia con cifre inferiori al 30%. Non vi è nulla, sia ben chiaro, che possa impedirgli di crescere ancora: se qualcuno nutriva dubbi, il suo impatto sul pianeta Nba ne ha fugati fin troppi. E in fretta.
Orlando sogna il Dream Team: Banchero e Wembanyama
Qualcuno in Italia però ha subito drizzato le antenne, preoccupato che il tentativo di convincerlo ad accettare la chiamata della nazionale azzurra in qualche modo possa rivelarsi infruttuoso dopo la nomina da Rookie of the Year.
Il concetto è fin troppo chiaro: Team USA ha la possibilità di scegliere tra una vastissima gamma di prospetti, universitari e non solo, e pertanto la concorrenza è enorme per qualsiasi giocatore che non possa elevarsi al rango di uomo franchigia.
Banchero però è sulla buona strada per diventare la stella polare di Orlando, a meno che la sorte ancora una volta non vada a baciare i Magic consegnando loro un’altra scelta alla numero 1 nel prossimo draft (la lottery avverrà a metà maggio: scegliere alla 1 significa prendere Victor Wembanyama, il nuovo fenomeno francese del basket mondiale, e Orlando avrà due chiamate nelle prime 14, con il 10,8% di possibilità che possa essere la prima), ecco che la sua candidatura a diventare membro della squadra più esclusiva della palla a spicchi potrebbe eccome prendere forma.
La (mezza) promessa a Pozzecco e all’Italia
Nonostante Banchero nel corso della sua carriera universitaria a Duke abbia più volte espresso il desiderio di unirsi al progetto Italia (ha ottenuto la cittadinanza per ius sanguinis nel febbraio 2020), tanto da aver accolto anche coach Pozzecco e una delegazione della FIP a Orlando lo scorso dicembre per un primo incontro conoscitivo, oggi le carte in tavola sembrerebbero essere cambiate. E il suo destino azzurro un po’ più sbiadito, al netto delle solite dichiarazioni di facciata.
Alle origini del Predestinato
Paolo, classe 2002, sa di poter chiedere di più a se stesso e al mondo che lo circonda. La sua avventura nel mondo del basket somiglia a quella di un predestinato. Cresciuto nella Rotary Boys and Girls di Seattle, aiutato da madre natura che a 12 anni gli permise di arrivare a contare già 196 centimetri di altezza, alla O’Dea High School si divise tra football e basket, quasi a non voler far torto a nessuno dei due genitori.
Coach K, i Blue Devils e l’NCAA
Ma mentre nel football era il quarterback di riserva, nel basket il suo talento venne fuori all’istante, al punto da riuscire a condurre il suo istituto a un titolo statale che mancava dal 2007. I maggiori tornei giovanili statunitensi fecero a gara per poterlo accogliere, e le sue qualità non passarono inosservato agli occhi di Coach K, vale a dire Mike Krzyzewski, autentica leggenda del college basketball.
Hai tutto per diventare un grande giocatore, uno dei più forti del gioco, ma scegliendo Duke avrai maggiori possibilità di farlo in un lasso di tempo inferiore
Furono le parole che lo convinsero ad accettare la chiamata dei Blue Devils, proprio nell’ultima stagione con Coach K in panchina. Stagione nella quale Banchero contribuirà a spingere la squadra fino alla semifinale del campionato nazionale NCAA, persa davanti a 70mila spettatori a New Orleans contro gli eterni rivali di North Carolina (20 punti e 10 rimbalzi per Paolo, l’ultimo ad arrendersi).
Draft 2022, prima chiama: “Magic” Banchero
Le sue prestazioni però gli valsero da subito la nomina a grande favorito nella corsa alla prima chiamata al draft, nonostante Chet Holmgren (poi finito alla 2 ai Thunder) e Jabari Smith (poi chiamato alla 3 dai Rockets) non fossero dello stesso avviso.
Quando però i Magic, il 23 giugno 2022, scelsero alla numero 1, il nome di Banchero non sorprese nessuno: completo viola con paillettes argento e si va a conquistare (in tutti i sensi) il palcoscenico Nba.
Curiosità su Paolo Banchero
La sua stagione da rookie è stata impressionante per continuità di rendimento e bontà delle giocate. E su di lui ormai le curiosità si sprecano. Ad esempio, Banchero è stato uno dei primi giocatori (all’epoca) NCAA a poter sfruttare il nuovo regolamento sulla gestione dei diritti d’immagine dei giocatori non professionisti.
Tifa Milan (e i rossoneri fanno il tifo per lui)
Banchero segue il calcio italiano, tifa Milan. I rossoneri di ReBird hanno ricambiato alla svelta tale endorsement donando alla stella NBA un pallone personalizzato con il 5 impresso – il numero che campeggia sulla canotta del cestista. A margine dell’All Star Game 2023 giocato a Salt Lake City, Banchero si è fatto fotografare col pallone in occasione di uno shooting fotografico ufficiale. Il ringraziamento a Casa Milan è poi arrivato su Instagram:
Grazie per questo fantastico regalo. Non vedo l’ora di venire allo stadio e conoscere la squadra, forza Milan!
Jordan Brand, Banchero e le leggendarie Air
Nell’ottobre 2021 firmò un accordo di sponsorizzazione con Panini (la storica azienda delle figurine), seguito poi da quello con 2k per entrare da subito a far parte del gioco NBA 2k22 (fino ad allora i giocatori universitari erano esclusi dal novero di quelli selezionabili) e da quello con JD Sports, marchio britannico che si occupa della vendita di capi sportivi e di moda (in uno spot si vede Banchero in treno utilizzare entrambi i passaporti in suo possesso, sia quello italiano che quello statunitense).
Prima di debuttare in Nba ha firmato con Jordan Brand, indossando da subito le leggendarie Air, come fatto peraltro nel corso della sua carriera giovanile. Prima di approdare a Duke ha ammesso di avere un problema di eccessiva sudorazione durante le gare: arrivava a perdere anche tre chili a partita, non riuscendo a reidratarsi a sufficienza.
Papà Mario e mamma Rhonda
Lo staff medico di Duke lo ha aiutato a gestire meglio lo sforzo e a limitare la perdita di peso. Paolo ha un cugino di 13 anni più grande che gioca nel campionato delle Filippine, nazione a forte vocazione cestistica: si chiama Christopher Guerrero Banchero, il cui papà è il fratello di Mario (il padre di Paolo) e la cui mamma è originaria delle Filippine.
Come lui ha militato nella high school della O’Dea, e pure con statistiche di tutto rispetto, divenute però ben presto preda dell’ascesa del buon Paolo, che in qualche modo ha finito per oscurarne la stella.
La mamma Rhonda è ancora oggi ricordata come la giocatrice più forte di sempre ad aver vestito la maglia dei Washington Huskies, la squadra dell’università di Seattle (2.984 punti e 804 rimbalzi), prima atleta del college ad essere chiamata in un draft WBNA nel 2000.
Sulla scia di Shaquille O’Neal
Infine, Paolo è stato il quarto giocatore chiamato alla numero 1 da Orlando: prima di lui si ricordano Shaquille O’Neal (1992), Chris Webber (1993) e Dwight Howard (2004). Vista la compagnia, l’auspicio che possa rivelarsi un’altra scelta fortunata è decisamente allettante. E per come è andata la prima annata in Nba, anche abbastanza probabile.