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Ciclismo, Gianni Bugno fa le carte al Tour. Intervista esclusiva: "Pogacar senza rivali. A meno che Vingegaard..."

Il vincitore del Giro 1990 e di due mondiali fa le carte al Tour: "Pogacar è senza rivali, a meno che Vingegaard non dimostri di star bene. La crisi del ciclismo italiano parte dalla base"

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Di poche parole, ma sempre chiare e pungenti. Un po’ come erano i suoi scatti da puro finisseur: Gianni Bugno è stato un icona del ciclismo italiano, e vederlo pedalare ancora oggi che ha 60 anno è sempre un piacere per qualsiasi appassionato. Lo ha fatto anche domenica scorsa a Gubbio, ospite d’onore de La Favolosa, la ciclostorica che si è snodata lungo le colline e gli sterrati della splendida cittadina medievale umbra. Occasione buona per rivederlo indossare la maglia iridata, ma anche per provare a fare le carte all’imminente Tour de France dopo aver “salvato” un record al recente Giro d’Italia.

La previsione di Gianni: “Pogacar l’uomo da battere”

Il pericolo che Tadej Pogacar potesse ripetere quanto fatto da Bugno nel 1990 era concreto: Gianni è l’ultimo corridore ad aver indossato la maglia rosa in una singola edizione del Giro dalla prima all’ultima tappa, e prima di lui soltanto Costante Girardengo, Alfredo Binda ed Eddy Merckx erano riusciti nell’impresa. Bugno l’ha fatto però in un’epoca dove la concorrenza era già piuttosto nutrita, Pogacar c’è andato vicino 34 anni dopo rimpiangendo quei 20 centimetri che gli sono costati la vittoria nella tappa inaugurare, preceduto da Narvaez.

Chi è l’uomo da battere al Tour che scatterà sabato da Firenze?

“Pogacar è un fenomeno, e il modo col quale ha vinto il Giro lo testimonia una volta di più. Sarà sempre Pogacar. In questo momento è senza rivali: se Vingeegard non dimostrerà di poter star bene come lo scorso anno, davvero non vedo chi possa battere lo sloveno. Ci sono tanti buoni corridori in gruppo, ma nessuno è al suo livello”.

Il momento storico: “All’estero vanno più forte”

Bugno, classe 1964, a Gubbio è tornato in sella e lo ha fatto pedalando su una bicicletta con la quale aveva effettivamente corso nei primi anni di una carriera impreziosita non soltanto dal trionfo al Giro del 1990 e dai due mondiali vinti (a Stoccarda nel 1991 e a Benidorm nel 1992), ma anche dalla Milano-Sanremo conquistata nel 1990 (fino allo scorso marzo era quella corsa alla velocità media più alta di sempre), dal Giro delle Fiandre 1994 e dalle 9 tappe vinte al Giro, 4 al Tour e 2 alla Vuelta, entrando così nell’olimpo di quei corridori capaci di vincere almeno una frazione in tutti e tre i grandi giri.

Vittorie arrivate in un’epoca nel quale il ciclismo cominciava già a mostrare i primi segni di “internazionalizzazione”, con tanti paesi emergenti che cominciavano ad affacciarsi ad alto livello.

“Gli stranieri c’erano anche ai miei tempi e la competizione era sicuramente dura. Il ciclismo sotto questo punto di vista è sempre stato piuttosto “largo”: capita sempre più spesso di vedere arrivare al vertice corridori provenienti da Paesi con minore tradizione. Di sicuro però in questo momento ci sono stranieri che vanno veramente forte”.

La crisi italiana: “C’è la passione, ma se ne parla poco”

Spiegare la crisi del ciclismo italiano non è semplice, e Bugno non sembra volersi addentrare troppo nelle ragioni che hanno finito per portare il movimento nazionale ai margini del World Tour.

“Oltre al fatto che ci sono corridori stranieri che vanno veramente forte, è anche vero che in questo momento mancano talenti italiani in grado di poter competere con i campioni attuali”.

Di cosa c’è bisogno?

Serve una crescita costante di tutto il movimento per poter tornare ad avere un corridore in grado di lottare per i grandi giri, così come sarebbe importante riportare una squadra italiana nel World Tour. La passione della gente non s’è mai sopita, ma l’attenzione mediatica s’è molto ridotta: tra pochi giorni il Tour, il terzo evento al mondo per importanza dopo mondiali di calcio e olimpiadi, viene in Italia e non mi sembra che se ne stia parlando abbastanza. Questo è un segnale che spiega perché il ciclismo italiano fatica a tornare quello di una volta”.

La “patente da matto”, i ristori e la Coppa d’Oro

Tra una chiacchiera e l’altra il Gianni nazionale saluta tutti e dispensa autografi e sorrisi. Poi, dopo aver ricevuto la patente da “matto onorario” della città di Gubbio, si mette in sella alla sua bici “ritrovata” e pedala lungo le strade eugubine, godendo anche della favolosa gastronomia dei ristori previsti lungo il percorso (una caratteristica delle ciclostoriche) e della bellezza del panorama.

Prima di presentarsi a Firenze per la grand depart del Tour ha fatto tappa anche a Piacenza, ricevendo la Coppa d’Oro assieme al rivale di mille battaglie Claudio Chiappucci e a Vincenzo Nibali, l’ultimo italiano capace di vincere un grande giro. Sperando che presto o tardi che sarà uno tra Ciccone, Pellizzari o Tiberi possa seguirne le orme.

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