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Platini, tutto su Juventus, Italia e Mondiali. L'Heysel? Vittoria vera

Michel Platini intervistato dall'amico Marco Tardelli a L'Avversario: retroscena e immagini inedite e una verità scomoda, quella relativa alla partita più difficile da giocare.

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Rino Dazzo

Rino Dazzo

Giornalista

Se mai ci fosse modo di traslare il glossario del calcio in una nicchia di esperti, lui ne farebbe parte. Non si perde una svista arbitrale né gli umori social del mondo delle curve

Lo scenario è quello della Costa d’Azzurra, una sorta di buen retiro per un re in esilio dal calcio e dai riflettori. È qui che Marco Tardelli ha incontrato Michel Platini, prima avversario con la nazionale francese, poi compagno di squadra alla Juventus. È proprio lui, Le Roi, il protagonista dell’ultima puntata de L’Avversario, il nuovo format originale prodotto da Rai Cultura e Stand by me che ripercorre vita e carriera dei grandi campioni del mondo dello sport. Stavolta il campione davanti alle telecamere è lui, Platini. E sono tante le cose che ha da dire.

Tardelli, Platini e il primo incontro al Mundial in Argentina

Le origini italiane sono uno dei primi argomenti in discussione. “Se ricordo tutti i gol fatti contro l’Italia? Per forza. Sicuro. Mi marcavi tu? La verità è che provavi a marcarmi”, scherza Michel con l’amico Marco. E lo punzecchia: “Era difficile giocare contro di te e anche giocare con te”. La prima volta che s’incontrarono fu al Mundial 1978, in Argentina. “Giocavamo a biliardo nello stesso albergo, il problema è che il biliardo non era lo stesso, quello francese non ha le buche”, ricorda Platini. E aggiunge: “Con la nazionale francese ci allenavamo il pomeriggio in quel Mondiale camminando. Era vietato correre. Ho imparato lì”, e giù una risata.

Non fu particolarmente felice, quel Mondiale per la Francia. “Non avevamo esperienza, ci siamo ritrovati avanti contro l’Italia dopo 15 secondi e abbiamo pensato solo a difenderci”, ricorda Le Roi, all’epoca poco più di un giovanotto di belle speranze. “Non sapevamo di essere forti e non sapevamo neppure che gli italiani sapessero attaccare così bene. Ci fece un gol Paolo (Rossi, ndr) e Zaccarelli, che non aveva mai segnato in vita sua”.

L’infanzia di Platini al Bar dello Sport di Joeuf

Toccanti le immagini relative alla giovinezza nella sua città d’origine: “Sono nato nel Bar dello Sport a Joeuf, il bar comprato dai miei genitori. Qui ho iniziato a barare con mio nonno Francesco a carte: doveva vincere lui. In Italia tornavo spesso con la famiglia ad Agrate Conturbia, giocavo spesso a bocce, davamo da mangiare agli animali. La mia più grande tifosa? Mia mamma, più ancora del mio papà”. Era un calcio diverso, dappertutto ma in Francia ancor di più: “Da noi non c’erano tifosi, c’erano spettatori. Il calcio era visto come un gioco, uno spettacolo. Anche come un’avventura. Io l’ho sempre vissuto da professionista. Oggi è tutto organizzato, sai esattamente cosa puoi trovare”.

Il Mondiale 1982 e l’approdo alla Juventus

Ai Mondiali di Spagna 1982 la Francia e Platini erano cresciuti. Più forti. E sfiorarono la vittoria: eliminati in semifinale dalla Germania ai rigori. “Se fossimo andati in finale sono sicuro che avremmo perso uguale. Eravate troppo forti e troppo carichi dopo le vittorie su Argentina e Brasile“, la confessione di Michel all’amico Tardelli. In quell’estate, tra l’altro, Platini entrò nel mondo Juve:A Torino ho trovato un ambiente molto positivo. L’Italia è un paese di pazzi per il calcio. L’unico momento di pace che avevo erano i novanta minuti sul campo”. Guerra e pace. Guerra soprattutto fuori dal campo: “Una volta a Firenze siamo usciti sdraiati nel pullman, coi vetri rotti. Tutto per lo scudetto vinto l’anno prima a Catanzaro su rigore. Dissi subito: io non c’ero, non c’entro”.

Le difficoltà di Platini alla Juve e la svolta

Avvio non facile per Platini alla Juventus. “A dicembe dopo una sconfitta col Genoa pensai che non sarei tornato in Italia. Non era il mio gioco, non faceva per me. Avevo la pubalgia. Dopo uno 0-0 con l’Inter l’Avvocato disse che aveva visto solo gli stranieri dell’Inter”. Interviene Boniek, altro protagonista della puntata, e ricorda: “Platini disse a Boniperti: leva Furino, metti Bonini e vedrai che cambia tutto”. In effetti quella Juve iniziò a vincere. “Volevamo il pallone tra i piedi, ci abbiamo messo un po’ di tempo ma poi, cambiando il sistema di gioco, le cose sono migliorate. Ho iniziato a segnare tanto e sono diventati tutti miei cugini”, scherza ancora quel gigione di Platini.

Lo scudetto lo vinse la Roma di Falcao: “Era un giocatore bello da vedere, elegante, che ogni tanto faceva gol. Ma nell’anno del loro scudetto giocammo contro la Roma quattro volte e le vincemmo tutte e quattro. La sconfitta nella finale di Coppa Campioni ad Atene? Oggi mi fa ancora più amarezza. Avessimo vinto quella coppa, ne avremmo vinto altre quattro o cinque. Non mi ha dato ascolto Trapattoni, gli dissi che l’Amburgo l’avevamo battuto cinque a zero l’anno prima. La verità è che non l’abbiamo approcciata bene”.

Platini ricorda l’Avvocato e Paolo Rossi

Quindi il ricordo si fa emozionante quando si parla di Gianni Agnelli e di Paolo Rossi: “L’Avvocato era persona gradevole, simpatica, che ti chiamava al mattino, con cui era un piacere parlare. Eravamo una famiglia. E Paolo Rossi era la persona più semplice e tranquilla che esisteva. Ha vinto il Pallone d’Oro, è stato un modello”. Non è un caso che dopo essere sbarcato alla Juventus, Platini abbia imparato a vincere. “Con la nazionale abbiamo trionfato a Euro 1984: era la prima volta che la Francia vinceva un trofeo di squadra. Non nel calcio, in tutti gli sport. Io poi non è che segnassi tanto, massimo uno, due gol a partita. È che dovevo aiutare la difesa, dove giocavano tanti vecchietti”, l’ennesima battuta.

Platini e l’Heysel: “Per me è stata vittoria vera”

Altra vittoria, stavolta dal sapore amarissimo, un anno dopo. “Heysel? No, non parlo. Troppo difficile, la sicurezza non era buona”, prova a glissare Platini. Che poi però cede: “Non si poteva non giocare. Giocando abbiamo salvato tante vite. Penso sempre al fatto di aver giocato per un motivo di sicurezza. Tu Marco non l’hai mai sentita come una vittoria? Per me invece fu vittoria vera, contro una squadra fortissima che in campo non ha mollato niente”.

Scarpette al chiodo a 32 anni: Le Roi Michel spiega il ritiro

Infine il ritiro, a soli 32 anni. Perché? “Non c’era più benzina, sono rimasto fermo un anno nel 1986 e avevo deciso di smettere. Mi volevano il Marsiglia, il Barcellona, la Juve voleva tenermi. Ma non ce la facevo più. Anche i compagni mi passavano meno palloni. Ho capito che dovevo smettere in una partita contro la Sampdoria. Partii in un azione con cinque metri di vantaggio e alla fine ne avevo cinque di svantaggio. Il momento più duro? All’ultima partita col Brescia, quando l’arbitro ha fischiato la fine. Il tragitto da centrocampo a spogliatoi mi sembrò non finire mai”.

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