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Ronaldo vs Coca Cola, Pogba e altri casi simili spiegati bene

Il gesto di Ronaldo ha aperto una discussione durata per giorni, in cui sono stati estrapolati diversi micro-temi non sempre snocciolati con lucidità.

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Marco Pino

Marco Pino

Sport Economy Specialist

Abbina la passione per il calcio alla competenza in materia economica. Analizza il calcio in chiave business, spiegando in modo semplice gli aspetti più complessi del mondo del pallone. Aiuta i lettori di Virgilio Sport a capire tutto di plusvalenze, indici di liquidità, diritti di recompra, parametri zero, operazioni di mercato e analisi di bilanci

Il girone F che vede impegnate Portogallo, Francia, Germania e Ungheria veniva pronosticato come un girone di fuoco per l’elevato fattore tecnico dei calciatori delle Nazionali impegnate, nessuno però, avrebbe previsto questo girone come quello più impegnato e impegnativo dal punto di vista commerciale e del rapporto con i brand di Euro 2020.

Nel giro di poche ore, i giocatori più rilevanti delle Nazionali impegnate in questo girone, Paul Pogba e Cristiano Ronaldo, hanno causato un uragano mediatico a causa delle loro reazioni al tradizionale brand positioning durante le conferenze stampa delle loro squadre pre e post-partita.

Comportamenti che hanno causato più di una polemica e riflessione di tifosi interessati e addetti ai lavori.

La metafora dell’uragano per descrivere il gesto di Ronaldo restituisce l’immagine più giusta: un enorme vortice che parte da Budapest e nel tragitto ingloba ferocemente altri episodi più o meno affini come quello di Pogba, di Manuel Locatelli, o addirittura del tecnico della Russia Stanislav Čerčesov, fino a Lukaku e Yarmolenko.

Il gesto di Ronaldo ha aperto una discussione durata per giorni, in cui sono stati estrapolati diversi micro-temi non sempre snocciolati con lucidità.

Perché Ronaldo può permettersi un gesto del genere?

Perché è un brand al pari (o quasi) proprio di Coca Cola.

Se consideriamo l’influenza social, CR7 vanta 299 milioni di follower contro i 2.7 milioni di Coca Cola (account Instagram dedicato agli Stati Uniti).

Una condizione che gli consente di avere le spalle grosse sotto diversi aspetti, da quelli legali a quelli mediatici, ma soprattutto da vero brand detiene un sistema di valori, tra i quali emerge anche in maniera ossessiva quella di un corretto regime alimentare, che escluderebbe le bevande alcoliche dalla dieta.

Cristiano Ronaldo, tornando al discorso social, percepisce 1.25 milioni di dollari per ogni post pubblicato su Instagram, capacità che lo rende lo sportivo che guadagna di più sui social media in tutto il mondo, davanti a Messi (873.000 $) e Neymar (703.000 $). In pratica, CR7 guadagna di più attraverso l’attività sui social che con l’attività di calciatore della Juventus.

Quindi, non sono sicuramente le voci di screzi economici su un presunto contratto saltato con Coca Cola, che avrebbero fatto irrigidire il portoghese durante la conferenza stampa post Ungheria a Euro 2020.

Così come risulta irrilevante il fatto che Ronaldo è stato testimonial di Coca Cola. Il portoghese si impegnò in una campagna del brand per il mercato asiatico ai tempi della militanza nel Manchester United, parliamo quindi di più di 13 anni fa. Un arco di tempo lecito per cambiare idea e aggiustare il tiro su alcuni comportamenti e valori. In questi anni è notevolmente cambiato anche lo status di Ronaldo, un lasso che ha permesso a CR7 di posizionarsi sullo stesso piano di brand globali.

La solidità economica e la dimensione planetaria di Cristiano Ronaldo sono garantite anche dalle altre collaborazioni commerciali. Alcune in cui l’attaccante ci mette il volto, altre invece sono proprio iniziative commerciali partorite dal portoghese in persona.

Ne è un esempio la joint venture Pestana CR7 Lifestyle Hotels, proprietaria della catena alberghiera più grande del Portogallo. O anche la Insparya Hair Medical Clinic sl: l’azienda di trattamento per i capelli che vede come amministratori Georgina, fidanzata di CR7, che amministra il 50% della società insieme a Paulo Joaquim Silva Ramos, che detiene l’altro 50%. Clinica in cui un trapianto può costare tra i 4mila e i 12mila euro.

Senza dimenticare il contratto che lo lega a vita con Nike da circa 24 milioni di euro all’anno, una condizione contrattuale che il brand fondato da Knight ha riservato nel tempo solo a Michael Jordan e LeBron James.

Tra i marchi per cui invece Ronaldo presta la sua autorevolezza e follower: Shoope, HerbaLife, PokerStars, EA Sports, Clear Shampoo, Samsung, TAG Heuer e Toyota.

Ronaldo è anche molto consapevole di ciò che un gesto del genere può scaturire, e lo fa più per consolidare un aspetto del suo brand (il valore di una vita sana) più che per danneggiarne un altro.

Per Coca Cola è davvero un danno economico?

Un’altra leggerezza mediatica palesata dopo le parole del portoghese: “Non bevete Coca Cola, bevete acqua”, è stata quella messa in scena dai media che hanno definito in maniera roboante il calo del valore delle azioni della bibita.

Quello che è stato definito “crollo delle azioni” in realtà è un lieve ribasso abbastanza scontato dopo l’episodio Ronaldo vs Coca Cola dovuto anche al fatto che l’esposizione mediatica generata da una manifestazione come Euro 2020, moltiplicata per l’eco che offre la figura di CR7, raggiunge tutto il mondo.

Il titolo di Coca Cola, sceso a -1,6% (e che era a -0,9% il giorno prima) è frutto delle variazioni di mercato che sono fisiologiche quando si parla di brand e mercati come quello in questione. Stando all’andamento degli ultimi mesi, o addirittura di maggio, l’influenza di Ronaldo sul calo ha inciso semmai per circa un dollaro per azione. Praticamente nulla, o meglio, inevitabile dopo l’episodio considerata l’influenza delle parti in gioco.

Come hanno professato in molti sui propri profili social, inoltre, va ribadito che Coca Cola non ha perso di tasca propria i famosi 4 miliardi, ovvero non ha dovuto far fronte a un’uscita economica di quella portata, ma ad una variazione del valore del brand (da 242 a 238 miliardi appunto) che è un’altra cosa.

Picchi nel valore delle azioni, semmai, Coca Cola li ha vissuti nei primi 3 mesi dell’anno.

Pogba e altri casi del passato

Al gesto di Cristiano Ronaldo ha fatto seguito quello di Paul Pogba, il calciatore della Francia ha spostato dall’inquadratura una birra del marchio olandese Heineken, lo stesso brand che poche settimane fa aveva pubblicato la bellissima campagna “The Spoon – (il cucchiaio)” che ha visto protagonista Francesco Totti.

Pogba ha replicato un gesto simile a quello di Ronaldo perché da praticante della religione musulmana (dal 2019) non voleva essere associato a un marchio di una birra (bevanda praticamente proibita per i musulmani).

Qui il fraintendimento è forse più grande di quello di Ronaldo, al contrario di quanto hanno scritto in molti, giustificando Pogba perché spinto da una scelta “etica”.

In realtà, stando alla prammatica della religione musulmana, non è per nulla vietato presenziare in stanze o luoghi dove sono presenti bevande alcoliche, oltre al fatto che il tradizionale brand positioning dei prodotti in conferenza stampa è legato agli accordi presi dai brand con la UEFA (che gli atleti e le federazioni conoscono in largo anticipo). L’edizione della bottiglia di Heineken tra le cose era quella “00”, quindi analcolica. Sono queste le contestualizzazioni che rendono quello di Pogba un gesto più forzato che etico.

Non si tratta quindi di una campagna in cui l’atleta può venire effettivamente associato al brand. Anche questo è un dettaglio non da poco. Sostenere il contrario vorrebbe dire rendere impossibile l’organizzazione di tutte le manifestazioni sportive del pianeta per questioni di brand affinity dei calciatori.

Francesca Gesualdi, avvocata e Counsel di Cleary Gottlieb ha spiegato che «Alle aziende colpite potrebbe non convenire iniziare una causa per diritti d’immagine a volte un’azione legale può portare solo altra pubblicità negativa. Ci potrebbe però essere un accordo tra l’Uefa e le società interessate per sconti sulla sponsorizzazione dei prossimi tornei. In futuro però si potrebbe pensare anche ad accorgimenti contrattuali che evitino questi gesti».

Il gesto di rifiutare l’associazione ad un brand durante la conferenza stampa, quindi per un periodo di tempo davvero ridotto, non può essere paragonata alla rilevanza di alcuni casi del passato. Momenti in cui alcuni calciatori hanno compiuto un atto di puro attivismo.

È capitato quando Frédéric Kanouté si oppose allo sponsor sulla maglia del suo Siviglia: il sito di scommesse 888.com. A Kanouté, che diventò bandiera del club, fu acconsentito di indossare una maglia senza sponsor.

Ma è anche il caso del Newcastle nel 2012. Il club veniva sponsorizzato da Wonga, società del mercato dei prestiti con tassi di interesse abbastanza elevati rispetto alla media. I musulmani del club, ossia, Ba, Cisse, Tiote e Ben Arfa fecero opposizioni perché secondo la legge musulmana (la sharia) una persona di fede non può trarre beneficio economico nel prestito di denaro ad un’altra persona.

Interferenze e fraintendimenti tra brand, calciatori e squadre sono state frequenti anche nel calcio meno business del passato di quanto possiamo immaginare.

Clamoroso e iconico fu il compromesso trovato tra Adidas e Puma al Mondiale del 1974. Adidas in quel periodo voleva sponsorizzare tutte le migliori Nazionali della competizione, all’appello mancava l’Olanda capitanata da Johan Cruyff. Il numero 14 era sponsorizzato da Puma che faceva enormi pressioni sulla questione. Adidas invece, per non perdere l’occasione d’oro, decise sì di sponsorizzare gli Orange, ma anche di privarsi di una delle 3 strisce che dagli albori caratterizzano il brand, solo per la maglia e la tuta del capitano olandese.

La UEFA intanto ha fatto sapere con un comunicato che non intraprenderà azioni contro i calciatori protagonisti delle vicende di questi ultimi giorni, ma chiede di “non spostare le bottigliette durante le conferenze stampa” di EURO 2020.

Una competizione con un giro di affari di 2 miliardi di euro provenienti dagli accordi commerciali con gli sponsor e diritti tv, quest’ultima fonte dal quale dipende la maggioranza delle entrate.

Articolo a cura di Luigi Di Maso

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